Dagli scarti dei batteri usati nella filiera alimentare arrivano i fertilizzanti 'bio-green', veramente ecologici: ne hanno dimostrato l'efficacia su piante di lattuga e pomodoro scienziati dell'Università Cattolica, campus di Piacenza in uno studio sulla rivista Land.




I biofertilizzanti funzionano bene come i fertilizzanti azotati e possono ridurre del 30% l'uso dei concimi chimici.

Lo studio è stato coordinato da Pier Sandro Cocconcelli, e Edoardo Puglisi ed è stato svolto in collaborazione con l'azienda Sacco srl di Cadorago (CO) e il Centro di saggio agronomico LandLab srl di quinto Vicentino (VI).


I batteri lattici sono un gruppo di microrganismi in grado di fermentare, dando origine a numerosi prodotti di interesse per il settore agroalimentare e industriale.

Tra i vari alimenti per la cui produzione sono coinvolti i batteri lattici troviamo formaggi, latti fermentati, insaccati.

Normalmente gli scarti della produzione dei batteri lattici vengono smaltiti in impianti di depurazione, afferma Cocconcelli; si tratta di diverse migliaia di tonnellate di scarti prodotti ogni anno in Italia.

La Commissione Europea si è impegnata con la strategia Farm to Fork entro il 2030 a ridurre del 20% l'uso di fertilizzanti e del 50% l'utilizzo dei pesticidi chimici.

Il conflitto in Ucraina ha fortemente alzato prezzi delle materie prime utilizzate in agricoltura, a partire dai fertilizzanti chimici.

"In questo scenario diventano fondamentali gli approcci di economia circolare, volti a valorizzare scarti industriali", afferma Cocconcelli.

I ricercatori hanno testato l'uso di scarti della produzione industriale dei batteri lattici come fertilizzanti e biostimolanti in agricoltura nella coltivazione in serra di pomodoro e lattuga: l'utilizzo di questi scarti industriali permette di ridurre del 30% i fertilizzanti chimici azotati, senza ridurre in alcun modo la produzione e migliorando anche alcune caratteristiche fisiologiche della pianta.

Inoltre, si stima che si possano ridurre del 40% le emissioni di gas serra associate alla produzione dei fertilizzanti chimici, spiega Puglisi.

Lo studio è un esempio di trasferimento tecnologico: la azienda Sacco srl coinvolta nel progetto sta ora già valorizzando con questo approccio più di 700 tonnellate l'anno di residui del loro processo produttivo.