Riceviamo e pubblichiamo:

 

La dichiarazione congiunta del coordinatore della segreteria nazionale del PD, Nicola Oddati e del commissario regionale del partito in Calabria, Stefano Graziano, in relazione alla sentenza della Corte di Cassazione, sulla vicenda giudiziaria dell'ex consigliere regionale Seby Romeo è tardiva e, per molti aspetti, farisaica.
Anche in questa occasione, nel versare le proverbiali lacrime di coccodrillo, hanno riproposto il modus agendi di un partito sempre meno autonomo culturalmente e politicamente e sempre più subalterno alle spinte populiste e giustizialiste. Le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione rendono giustizia e chiariscono definitivamente che la condotta del capogruppo del PD stata improntata a principi di correttezza, trasparenza e legalità. Per quanto ci riguarda, abbiamo manifestato, sin dal primo momento, di non avere mai avuto dubbi al riguardo, soprattutto dopo aver letto l’ordinanza del GIP in cui, già all’epoca dei fatti, emergeva un’assoluta inconsistenza del quadro accusatorio. Senza se e senza ma, molti di noi, dirigenti e militanti del PD calabrese, non abbiamo esitato a commentare nella stessa direzione che oggi la Suprema Corte ha sancito: “accusa del tutto congetturale”, ovvero è così lampante l’infondatezza che qualsiasi altro giudice non può che giungere a queste stesse conclusioni. Un effetto demolitorio completo e definitivo.
Il rapporto distorto tra inchieste e politica ha prodotto danni acuti, poiché oltre le persone si sono falcidiate idee, progetti collettivi, libertà civili e politiche. Non è in discussione l’azione penale ma l'uso politico strumentale con cui si determina una percezione dell’opinione pubblica di condanne preventive, processi mediatici, sentimenti di rabbia e ribellione fondati sul nulla. Il modo con cui con troppa leggerezza si accomunano indagini di mafia e non, come in questo caso specifico, generano
un corto circuito del sistema giustizia con effetti devastanti tra i più disparati: dalla violazione del principio di separazione dei poteri alla violazione delle libertà costituzionali.
Non si tratta di mettere in discussione il ruolo della accusa nell'ambito del procedimento penale.
È fuori discussione, però, che l’azione penale è parte di un procedimento più ampio, fino al pronunciamento con sentenza definitiva. Tutto questo ci è chiaro e ci è caro ma evidentemente non lo è per l'attuale gruppo dirigente nazionale del PD che, invece, anche in questa vicenda, ha inteso agire tale che viene da chiedersi se ci sia stato, da parte loro, un uso strumentale della giustizia funzionale agli assetti elettorali del centrosinistra a cui si è poi pervenuti alle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale.
Proprio in questo momento, non si può tacere che solo qualche giorno prima dell’arresto del capogruppo Romeo, l’orientamento del Nazareno era di ripartire dall'esperienza amministrativa guidata da Mario Oliverio e di costruire un largo consenso intorno ad essa (Assemblea provinciale PD Cosenza tenutasi a Rende il 27 Luglio scorso, alla presenza di Nicola Oddati). Solo qualche minuto dopo la notizia dell’arresto, forse prima ancora che la vicenda avesse occupato ampio spazio sulla stampa, il Segretario nazionale del PD Nicola Zingaretti, invece, si affrettava a dichiarare che in Calabria il PD non avrebbe ricandidato Oliverio. Contestualmente, a seguire, è arrivata la sospensione per Romeo: una sentenza politica ingiustificata e non prevista dallo Statuto del PD, soprattutto dopo che il pubblico ministero titolare delle indagini, correttamente, aveva chiarito l’equivoco della connessione mediatica di questo procedimento con quello antimafia, riguardante la cosca Libri di Reggio Calabria.
Il principale partito del centrosinistra italiano, in una torsione olimpionica e superando anche i più incalliti giustizialisti, dava così il via ad una epurazione politico - giudiziaria senza precedenti in Calabria.
Le conseguenze politiche sono state devastanti: da allora si è assistito ad una linea politica di piombo portata avanti con minacce, direttive, commissariamenti, arroccamenti e sbrandellamento del centrosinistra calabrese. La Giustizia può restituire l’onore e la verità come in questo caso per Romeo, la politica, invece, non potrà mai restituire a migliaia di iscritti, militanti e simpatizzanti del PD il diritto di portare avanti, democraticamente, le proprie idee, la propria visione politica e di governo, la propria convinzione di poter cambiare in meglio le cose.
Da quel momento nulla fu come prima: il dissenso normalizzato, i gruppi dirigenti scomodi decapitati, le regole democratiche calpestate, una intera comunità vilipesa ed offesa. Tutto ciò è stato possibile perché una normale vicenda giudiziaria è stata utilizzata quale arma contundente per
purgare chi dissentiva dalla linea, poi elettoralmente sonoramente sconfitta, del Segretario nazionale.
Anche se le motivazioni sono state rese pubbliche ieri, non è banale sottolineare, inoltre, che la sentenza della Suprema Corte è del 17 Dicembre 2019 ed a quella data non una parola di solidarietà da parte di Graziano ed Oddati. Da parte loro si riabilita Romeo a distanza di sei mesi dall’emissione della sentenza. E’ uno dei pochi casi in cui l’esecuzione della pena continua anche dopo la declaratoria di innocenza. Sembra quasi che Romeo venga riaccolto tra le braccia del partito non tanto per la sua piena innocenza ma per il suo “comportamento esemplare verso il partito” ed il suo “silenzio”.
Del resto, questo spiega perché la decisione, anch’essa demolitoria, della Suprema Corte che ha evidenziato un "pregiudizio accusatorio", addirittura da configurare un accanimento persecutorio, nei confronti del presidente Mario Oliverio, non abbia trovato uguale risposta ed accoglimento, né da parte del segretario Zingaretti, né da parte dei suoi commissari inviati in Calabria.
Per tutti questi motivi consideriamo l’intervento di Oddati e Graziano fuori tempo, inopportuno e privo di efficacia risarcitoria.
La storia della Calabria ha subito una grave ingiustizia, una compressione dei diritti politici senza precedenti nella storia repubblicana, una ferita democratica senza precedenti. Una vicenda che merita quanto meno delle scuse formali prima di tutto a Romeo ma anche a Mario Oliverio e a tutto il popolo del PD che ha subito, insieme a lui, la privazione delle libertà civili e politiche.

AZIONE RIFORMISTA – PD CALABRIA