L’arrivo dei medici cubani, ove si concretizzasse, non può rappresentare, secondo il consigliere regionale Ferdinando Laghi (DMP), un alibi al prolungamento dello stato di abbandono della sanità pubblica calabrese

«Da tecnico della sanità calabrese per diversi decenni e da persona che attualmente continua incessantemente a visitare ospedali e luoghi di diagnosi e cura a seguito del mandato elettorale ricevuto, devo dire che non ricordo una sanità pubblica calabrese messa peggio di quella odierna». Così esordisce Ferdinando Laghi, capogruppo al Consiglio regionale per “De Magistris Presidente”. «Strutture desertificate di organico, che si reggono unicamente per l’abnegazione dei medici e del personale in genere. Sempre più stanchi, sempre più demotivati e comunque finora inascoltati e marginalizzati come sempre. Sono tante le Unità Operative o, addirittura, gli ospedali, a cominciare dagli spoke, a rischio di ulteriore, progressivo, rapido, depotenziamento, fino a possibili chiusure. Chiusure da cui ritengo sarebbe assai improbabile tornare indietro», continua il consigliere Laghi.


«Una “trasfusione”, immediata e cospicua, di personale medico potrebbe rappresentare una risposta plausibile, seppur necessariamente parziale e della durata la più breve possibile, per garantire risposte, da parte della sanità pubblica, a popolazioni che il diritto alla salute e i famosi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), li hanno persi di vista da tempo. Che a fornire questo transitorio - ripeto transitorio - supporto siano colleghi cubani, a cui il nostro Paese ha già fatto ricorso nel pieno della crisi pandemica, riconoscendone prima e dopo il loro impiego, qualità e capacità professionali, in Regioni, giova sottolinearlo, note per l’alto livello di prestazioni sanitarie offerte, non mi pare inaccettabile. Piuttosto appare discutibile la durata dell’accordo – due anni -, attesa la dichiarata volontà del commissario Occhiuto di intervenire con misure strutturali e rapide per migliorare il Servizio Sanitario Regionale. Ovviamente, il ricorso a questa task-force medica, come usa chiamarla, deve essere subordinato ad alcune precise condizioni. Anzitutto la liceità dell’iniziativa sotto tutti i profili, legale e amministrativa in primo luogo. Ma, soprattutto, all’immediato varo di attività, serie e concrete, finora assolutamente latitanti, che riportino i medici italiani e calabresi in particolare a volere e potere svolgere, nella nostra regione, la loro attività. Quindi, iniziative che rendano appetibile, gratificante, adeguatamente retribuito un ruolo importante e delicato, troppo spesso “colonizzato” da interessi, politici, clientelari e peggio ancora».

«In primo luogo, è necessario fare ricorso ai concorsi a tempo indeterminato, fatti a tamburo battente e non solo annunciati o gravemente rallentati per dolo o inefficienze amministrative, come ancora accade tutt’oggi. Si è poi detto, in questi giorni, di disponibilità numerosissime di specializzandi pronti e disposti a entrare nei ranghi della sanità pubblica regionale, ma bloccati da nulla-osta negati, così come di medici costretti a…non far nulla, per imprecisati, ma certo non commendevoli motivi», conclude Laghi. «Tutte situazioni che vanno chiarite e risolte. Magari questa crisi, davvero epocale, della sanità pubblica calabrese, potrebbe – alcuni decenni di lavoro in ambito sanitario, mi consigliano l’uso del condizionale – innescare un catartico cambiamento, che deve però prevedere tempi certi. Ma, nelle more, forse è opportuno cercare di non abolire altri servizi, altre strutture e con essi quel poco che rimane del diritto alla salute dei calabresi».