Caso botulino in Calabria, tra paure e indagini ancora aperte: cosa è successo davvero e chi rischia di pagare
Due morti, decine di intossicati e un intero sistema di controlli sotto accusa. A tre mesi dal focolaio di Diamante, la Procura indaga su errori sanitari e falle nella filiera alimentare. Tutto quello che si sa (e ciò che manca)
Il caso del botulino in Calabria rimane uno dei più gravi e inquietanti episodi di sicurezza alimentare mai registrati nella regione. A distanza di mesi dal focolaio esploso nell’estate del 2025, le indagini della Procura di Paola sono ancora in corso e il quadro, pur parzialmente chiarito, continua a lasciare zone d’ombra su responsabilità, controlli e misure di prevenzione.
Tutto parte da Diamante, perla del Tirreno cosentino, meta turistica affollata in piena stagione estiva. È qui che, tra il 3 e il 6 agosto, diversi cittadini e turisti avvertono sintomi gravi dopo aver consumato panini con salsiccia e cime di rapa acquistati da un food truck ambulante lungo il lungomare. Poche ore dopo arrivano i primi ricoveri, seguiti da due decessi: Luigi Di Sarno, 52 anni, originario di Cercola (Napoli), e Tamara D’Acunto, 45 anni, residente a Diamante. Entrambi, secondo le autopsie, sarebbero morti per intossicazione da tossina botulinica.
Le indagini della Procura di Paola prendono subito una direzione precisa: verificare l’origine del cibo contaminato e il livello di tracciabilità dei prodotti usati nel chiosco ambulante. I primi campioni analizzati confermano la presenza della tossina botulinica di tipo B in uno dei vasetti utilizzati per la preparazione del condimento.
Le prime ipotesi e i sospetti sulla filiera
Il cerchio delle responsabilità si allarga rapidamente. Non si tratta, come inizialmente ipotizzato, di un errore circoscritto al singolo venditore. La Procura indaga su una catena di fornitori, dai produttori degli alimenti conservati ai distributori, fino ai controlli sanitari lungo la filiera. Nel registro degli indagati figurano nove persone, tra cui il titolare del food truck, tre responsabili di aziende alimentari e cinque medici di due strutture sanitarie del cosentino.
L’ipotesi accusatoria è articolata: omicidio colposo, lesioni personali colpose e commercio di sostanze alimentari nocive. Le analisi dell’Istituto Zooprofilattico di Portici e dell’Istituto Superiore di Sanità hanno individuato irregolarità nei sistemi di autocontrollo (Haccp) e nelle modalità di conservazione dei prodotti vegetali in olio. Si sospetta che un lotto di conserve non sterilizzato correttamente sia entrato nel circuito commerciale senza i necessari controlli, arrivando fino al banco del venditore ambulante.
Nel furgone non sarebbero stati rinvenuti strumenti idonei alla manipolazione corretta degli alimenti: mancanza di pinze, refrigerazione non conforme e contenitori privi di etichette identificative. Una serie di falle che, sommate, avrebbe creato le condizioni ideali per la proliferazione della tossina.
Il ruolo dei medici e il ritardo diagnostico
Un altro capitolo dell’inchiesta riguarda la gestione sanitaria dei casi sospetti. La Procura indaga anche sul comportamento di alcuni medici che avrebbero visitato le due vittime nei giorni precedenti il decesso, ipotizzando un possibile ritardo nella diagnosi e nella somministrazione dell’antitossina botulinica.
Il botulismo è una malattia rara ma gravissima: la rapidità dell’intervento è decisiva per la sopravvivenza. La tossina agisce sul sistema nervoso, causando paralisi muscolare progressiva fino al blocco respiratorio. L’antidoto deve essere somministrato nelle prime ore, quando ancora il danno neurologico non è irreversibile.
Secondo fonti investigative, i pazienti avrebbero ricevuto una diagnosi generica di gastroenterite nelle fasi iniziali, con il sospetto di botulino formulato solo quando i sintomi erano ormai gravi. Per questo motivo, cinque medici sono stati iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di negligenza professionale. Nessuna condanna, tuttavia, è stata finora pronunciata: le verifiche medico-legali sono tuttora in corso e le responsabilità individuali dovranno essere accertate nei prossimi mesi.
L’aspetto economico e le conseguenze sul territorio
Sul fronte economico e amministrativo, al momento nessuno ha ancora “pagato”, né in termini penali né patrimoniali. Le famiglie delle vittime attendono ancora chiarezza sui risarcimenti, mentre la Regione Calabria e l’Asp di Cosenza hanno annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile nel processo, una volta concluse le indagini preliminari.
Il caso ha anche riaperto la discussione sulla prevenzione alimentare. Dopo l’episodio, il Dipartimento Tutela della Salute della Regione ha avviato una campagna di ispezioni straordinarie in fiere, mercatini e attività ambulanti, riscontrando ulteriori irregolarità in oltre un terzo delle attività controllate.
Il punto sulle indagini e i nodi ancora da sciogliere
A oggi, l’inchiesta della Procura di Paola non è ancora chiusa. Restano da chiarire almeno tre aspetti fondamentali: La provenienza esatta del prodotto contaminato. Le analisi condotte su diversi lotti di conserve vegetali e salsicce non hanno ancora consentito di individuare con certezza la fonte primaria della tossina. L’effettiva catena di responsabilità. Le ipotesi di reato a carico del titolare del chiosco e dei produttori dovranno essere confermate da ulteriori riscontri documentali e testimonianze. Il ruolo delle istituzioni sanitarie. Gli investigatori vogliono capire se vi sia stata una mancata comunicazione tra i presidi sanitari locali e le autorità regionali nella fase iniziale del focolaio.
Le fonti giudiziarie parlano di “accertamenti complessi”, con il coinvolgimento dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute. Gli esiti definitivi delle perizie tossicologiche e delle analisi di laboratorio sono attesi entro la fine del 2025.
Il messaggio alla Calabria: prevenire è l’unica cura
Al di là delle responsabilità penali, il caso botulino di Diamante rappresenta un campanello d’allarme per l’intera Calabria. Una regione che punta sempre più sul turismo e sulla gastronomia di qualità non può permettersi falle nella sicurezza alimentare.
La vicenda mette in luce la fragilità dei controlli lungo la filiera, la necessità di formazione per gli operatori del settore e l’urgenza di un sistema sanitario in grado di riconoscere tempestivamente le emergenze alimentari.
Il caso, che ha fatto il giro dei media nazionali, rimane quindi aperto sul piano giudiziario e morale. Finché non sarà chiarito chi ha sbagliato e in quale misura, la domanda rimane sospesa: chi pagherà davvero per le vite spezzate e per la fiducia tradita di un territorio che vive di cibo e accoglienza?