Traffico di rifiuti tossici in Calabria: l’ombra degli anni ’90 e 2000
Le coste calabresi, in particolare quelle tirreniche, sarebbero state teatro di veri e propri naufragi pilotati

Negli anni ’90 e 2000, la Calabria è stata al centro di uno dei capitoli più oscuri della storia ambientale italiana: il traffico illecito di rifiuti tossici e radioattivi. Una rete criminale composta da imprese compiacenti, mafie e canali internazionali ha trasformato parte della regione in una discarica clandestina, con gravi conseguenze per l’ambiente e la salute pubblica.
Le rotte dei veleni
Secondo numerose inchieste giornalistiche e giudiziarie, i rifiuti tossici — in parte provenienti da industrie del Nord Italia e da Paesi europei — venivano smaltiti illegalmente in Calabria, spesso sepolti in cave dismesse, terreni agricoli o addirittura affondati in mare. Le coste calabresi, in particolare quelle tirreniche, sarebbero state teatro di veri e propri naufragi pilotati: navi cariche di rifiuti avrebbero trovato "sepoltura" nel Mar Tirreno, con la complicità della criminalità organizzata.
La denuncia di Pentiti e ambientalisti
Il primo grande allarme arrivò nel 1994 con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Fonti, ex uomo della 'ndrangheta. Fonti raccontò ai magistrati e successivamente anche a "Legambiente" e ad alcune trasmissioni televisive, di essere stato coinvolto personalmente nell'affondamento di navi cariche di rifiuti tossici, tra cui la famosa nave dei veleni Cunsky, che si dice fosse stata fatta esplodere al largo di Cetraro. Sebbene le indagini successive non abbiano sempre confermato in modo definitivo tutte le dichiarazioni, hanno comunque acceso i riflettori su un sistema di smaltimento illecito che sfruttava la debolezza istituzionale e la forza delle mafie per gestire un business miliardario.
Le inchieste giudiziarie e l’intervento della Commissione parlamentare
Nel corso degli anni, diverse procure calabresi hanno aperto inchieste sul traffico illecito di rifiuti. Tuttavia, le indagini si sono spesso arenate per mancanza di prove definitive, complicità ad alto livello e difficoltà nel rintracciare materiali pericolosi ormai dispersi da decenni. La Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, istituita nel 1997, ha dedicato molte delle sue relazioni alla Calabria, parlando di un “sistema criminale” in grado di gestire rifiuti tossici con metodi mafiosi e complicità politico-istituzionali.
Le conseguenze ambientali e sanitarie
Ancora oggi, i cittadini calabresi chiedono verità e bonifiche. Alcuni territori, in particolare nelle province di Cosenza, Vibo Valentia e Reggio Calabria, registrano tassi di incidenza tumorale superiori alla media, alimentando il sospetto di contaminazioni ambientali mai del tutto chiarite. Gli esperti segnalano che la vera portata del danno potrebbe essere ancora sconosciuta: rifiuti sepolti in zone remote o affondati in mare possono continuare a rilasciare sostanze nocive per decenni, con effetti cumulativi su flora, fauna e salute umana.
Una ferita ancora aperta
Il traffico di rifiuti tossici in Calabria rappresenta una delle pagine più inquietanti dell’Italia contemporanea. Una vicenda che coinvolge criminalità organizzata, colpevoli omissioni istituzionali e un intero territorio lasciato per troppo tempo senza tutele.
Oggi, tra richieste di verità e progetti di bonifica, resta il monito di una stagione buia da non dimenticare, affinché non possa mai più ripetersi.