"Si stima che circa il 15% dei circa 2.400 bambini e ragazzi che ogni anno ricevono una diagnosi di tumore migri in una regione diversa per curarsi, ovvero circa 300.

In genere la famiglia lo fa per avere cure più avanzate, ad esempio le Car-T o l'immunoterapia. Il tasso di migrazione si è ridotto nell'ultimo decennio, perché è aumentato lo standard di cura su tutto il territorio".

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Lo spiega, in vista della Giornata Mondiale dei Tumori pediatrici che si celebra il 15 febbraio, Arcangelo Prete, presidente dell'Associazione italiana di oncoematologia pediatrica (Aieop), che riunisce 49 centri specializzati per la cura di queste patologie.

Il tumore nel bambino, precisa all'ANSA, "è una malattia rara: ogni anno ci sono circa il numero di diagnosi che ci sono in un giorno per l'adulto. Di qui le difficoltà nella ricerca, sia da un punto di vista di investimenti da parte dell'Industria che da un punto di vista di allestimento dei trial clinici".

Non sono ancora disponibili, aggiunge, "dati riguardo il ritardo di diagnosi, ma negli ultimi anni è migliorata la formazione in oncologia nelle Scuole di Specializzazione in pediatria". Per alcuni tumori, i livelli di guarigione sono molto elevati: per le leucemie si guarisce in circa l'80% dei casi; mentre sono molto più bassi per alcuni tumori solidi e cerebrali, in cui non superano il 40%.

Quanto alle origini dei tumori pediatrici, "si sa ancora poco e non possono essere chiamati in causa fattori comportamentali (stili di vita) o familiari; anche gli studi su cause ambientali non hanno portato a risultati certi".

Quindi l'ipotesi più probabile sono mutazioni geniche sorte ex novo. In qualsiasi caso, dal punto di vista epidemiologico, in base a dati Airtum nel quinquennio 2012-2017 (ultimi disponibili) "non è stato registrato un aumento di diagnosi rispetto al quinquennio precedente". Certo è, conclude, "che molto si dovrebbe fare per promuovere un maggior utilizzo dei big data anche in quest'area". (ANSA).