Ci sono 3,64 miliardi di donne nel mondo. Si distinguono per età, per colore della pelle, per etnia, per altezza o peso. Ma una cosa le accomuna tutte quante: la paura di un abuso o una violenza. Ogni anno, sono stati stimati il 64 % dei femminicidi nel mondo per mano dell’ex o del partner. Come una lamina che prima taglia le ali e poi toglie la vita: il concetto di possessione, di “omicidio d’onore”, che ancora ad oggi è profondamente inculcato nel pensiero generale. Secondo i dati ISTAT, oltre 6 milioni di donne hanno subito una violenza fisica o sessuale. In Italia, le donne uccise per mano del proprio compagno o marito sono 131, registrando un femminicidio ogni tre giorni. Un dato che risulta essere ancora più incisivo se si considera come, negli ultimi 25 anni, gli omicidi degli uomini siano drasticamente diminuiti, da 4,0 a 0,8, mentre quelli delle donne hanno mantenuto sempre lo stesso andamento, da 0,6 a 0,4. Un fenomeno che vede protagoniste ragazze, madri, nonne, bambine: donne che non hanno mai avuto il coraggio di denunciare o, nel peggiore dei casi, che la loro denuncia non sia stata presa in considerazione. La percentuale dei casi segnalati alle forze dell’ordine risulterebbe però molto bassa, il 15% dei femminicidi, molto probabilmente perché le donne in questione si trovano in contesti affettivi o familiari, che le porta a proteggere il proprio aguzzino. Uno scenario macabro e raccapricciante, che lascia trasparire la profonda fragilità di queste vittime, in pericolo nelle loro stesse case. Sottoporre i giovani a continue campagne di sensibilizzazione non basta ad arginare un fenomeno così radicato nei secoli, in una società che ancora giustifica lo stupratore per l’abbigliamento troppo succinto della donna, o, peggio, compatisce la gelosia di un uomo come movente per uccidere la propria compagna. Le donne vogliono sentirsi libere, poter passeggiare tranquillamente di notte, senza timore, senza paura di essere stuprate o ammazzate. Avere la libertà di non dover avere sempre qualcuno che le protegga, di poter svolgere la propria professione alla pari dei propri colleghi, e non dover dimostrare che non esistono professioni divise in base al genere. Una donna dovrebbe essere libera di poter gestire il proprio corpo come vuole, non dover sentire addosso gli sguardi indiscreti che la costringono a nascondersi dietro una vergogna illusoria. Non vogliono portare addosso il ricatto economico e il peso sociale del parto e dei figli, che si maschera dietro l’obbligo di sacrificare la propria persona per il bene comunitario. Non dovrebbero subire l’umiliazione di scoprire che, in qualche parco d’Italia, potrebbe essere seppellito il feto che ha abortito. Non bisogna chiudere in casa le figlie per farle sentire al sicuro, ma educare i figli al rispetto e all’uguaglianza di genere.