L’omicidio di Antonio D’Agostino, il benzinaio che osò sfidare i clan
Il 27 maggio 2003, a Sant’Ilario dello Ionio, venne ucciso per aver voluto espandere il suo distributore

La notte del 27 maggio 2003, in località Sant’Ilario dello Ionio, Antonio D’Agostino, 59 anni e titolare di un distributore di carburanti, fu assassinato poco prima della chiusura del suo impianto. Un uomo dal volto coperto da passamontagna gli si avvicinò e sparò sei colpi di pistola calibro 9; almeno cinque andarono a segno su torace e collo, determinando una morte immediata. Dopo l’agguato, il sicario fuggì a piedi per poche decine di metri, poi salì su una Fiat Uno condotta da un complice: l’auto fu poi ritrovata poco distante, distrutta dalle fiamme.
Non era una vittima qualunque: D’Agostino non aveva precedenti penali, né legami con organizzazioni criminali. La pista ritenuta più credibile dagli investigatori è quella economica: il suo progetto di espandere il distributore, includendo attività commerciali addizionali, avrebbe costituito concorrenza per affari controllati dalle cosche locali.
L’indagine e la pista mafiosa
Le forze dell’ordine attivarono immediatamente le indagini: il Commissariato di Siderno condusse interrogatori, analisi di tracce di polvere da sparo e – grazie al contributo delle immagini e delle testimonianze – collegò l’agguato a interessi mafiosi del territorio.
Tra i nomi emersi figura Antonio Dessì, affiliato alla cosca Cordì, verso il quale fu emessa un’ordinanza di custodia cautelare nel 2006 come presunto autore materiale del delitto. Lo scenario che ne deriva è quello di un uomo che, contro il dominio criminale, venne eliminato come messaggio intimidatorio.
Un omicidio diventato simbolo
L’omicidio di Antonio D’Agostino è oggi ricordato come uno dei casi più significativi di scontro fra l’imprenditoria onesta e il potere mafioso calabrese. Il prezzo pagato per osare cambiare lo stato delle cose è diventato un monito per quanti operano sul territorio con coraggio. Il suo nome è entrato nell’elenco delle vittime della ‘ndrangheta, e la sua vicenda è richiamata ogni anno dalle associazioni antimafia e dalle comunità locali che non vogliono dimenticare.