Primo Maggio, la festa del lavoro tra memoria, diritti e nuove sfide
Dalle lotte operaie dell’ottocento alle battaglie moderne contro precarietà e sfruttamento

La ricorrenza del Primo Maggio nasce da una battaglia globale per i diritti dei lavoratori. Le sue radici affondano nella seconda metà dell’Ottocento, negli Stati Uniti, dove il movimento operaio iniziò a organizzarsi per rivendicare condizioni di lavoro più giuste e umane. In particolare, il 1° maggio 1886 migliaia di lavoratori scioperarono a Chicago per ottenere l’orario di lavoro limitato a otto ore al giorno, al motto di “otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”. La protesta sfociò in violenti scontri, culminati il 4 maggio con i tragici eventi di Haymarket, dove una manifestazione pacifica fu repressa nel sangue. Quegli episodi segnarono una pagina fondamentale per il movimento operaio internazionale. A partire dal 1889, per volontà della Seconda Internazionale socialista, il Primo Maggio fu proclamato “Giornata internazionale dei lavoratori”, con l’intento di unire tutte le lotte del mondo sotto un’unica bandiera. In Italia, la prima celebrazione ufficiale risale al 1891, tra scioperi e manifestazioni di piazza che, nel corso dei decenni, hanno consolidato la data come simbolo di solidarietà e resistenza sociale.
Un secolo di conquiste, i diritti nati dalla lotta
Il Novecento ha visto il Primo Maggio diventare un momento centrale della coscienza collettiva del lavoro. In Italia, dopo la parentesi fascista che tentò di svuotare la giornata del suo significato originario, il 1° maggio tornò a essere festeggiato a partire dal 1945, dopo la Liberazione. Nel dopoguerra, le lotte sindacali hanno portato a grandi conquiste civili e sociali, dalla creazione dello Statuto dei Lavoratori nel 1970, alla nascita dei contratti collettivi nazionali, fino all’istituzione di diritti fondamentali come ferie retribuite, tutela contro il licenziamento illegittimo, maternità, malattia e sicurezza sul lavoro.
Il lavoro, riconosciuto come fondamento della Repubblica italiana già all’articolo 1 della Costituzione, ha trovato in questa giornata l’occasione per riflettere sull’evoluzione del concetto stesso di “essere lavoratore”. Se un tempo la figura centrale era quella dell’operaio di fabbrica, oggi la galassia del lavoro comprende molteplici forme contrattuali, spesso segnate da precarietà e assenza di tutele.
Un presente difficile
Nonostante le conquiste, il lavoro nel XXI secolo si confronta con nuove forme di sfruttamento e marginalità. In Italia, milioni di persone vivono oggi situazioni di instabilità lavorativa con contratti a tempo determinato, part-time involontari, false partite IVA, stage non retribuiti, lavoro nero. Fenomeni che toccano in modo particolare i giovani, le donne e i lavoratori del Sud, spesso costretti a scegliere tra emigrazione o accettazione di condizioni umilianti.
La pandemia prima, e l’inflazione poi, hanno aggravato il quadro, il lavoro povero è aumentato, e avere un impiego non basta più per uscire dalla povertà. In alcune regioni, come la Calabria, la situazione è ancora più allarmante perché il tasso di disoccupazione giovanile sfiora picchi drammatici, mentre persistono fenomeni gravi come lavoro sommerso, caporalato agricolo, restituzione forzata di parte dello stipendio ai datori, o il ricorso sistematico alla raccomandazione come unica via d’accesso al lavoro stabile.
In questo contesto, il Primo Maggio non è solo una commemorazione ma è un richiamo urgente alla responsabilità sociale, politica e collettiva per restituire dignità e diritti a chi lavora.
Il valore del Primo Maggio
Celebrato con cortei, manifestazioni, eventi culturali e il tradizionale concertone di Roma, il Primo Maggio è un patrimonio civile da difendere. È la giornata in cui la società dovrebbe riflettere su cosa significhi davvero lavorare, produrre valore, costruire futuro. Ma anche una giornata in cui si chiede conto alle istituzioni delle scelte politiche in materia di occupazione, salari, sicurezza sul lavoro e politiche sociali.
È anche il momento per dare voce a chi lavora nei magazzini della logistica, nei campi, negli ospedali, nei call center, spesso invisibili, essenziali, ma ancora troppo poco tutelati. E per ricordare chi ha perso la vita lavorando, in nome di una produttività che non può e non deve valere più della vita umana.
Il Primo Maggio è, dunque, un ponte tra passato e futuro, memoria delle lotte che ci hanno portato fin qui, ma anche spinta per nuove rivendicazioni, per una società più giusta, inclusiva, dove lavorare non sia mai sinonimo di sfruttamento, ma di realizzazione, libertà e partecipazione.