Scandalo a Tor Vergata, 45 referti falsi per un primariato: indagato il cardiologo calabrese Barillà
La Procura di Roma accusa l’ex direttore generale Quintavalle e lo specialista reggino di aver costruito documenti irregolari per ottenere la guida della Cardiologia

Un nuovo scandalo scuote il mondo della sanità e dell’università italiana: al centro delle indagini ci sarebbe la produzione di referti clinici falsificati per ottenere un avanzamento di carriera. La vicenda riguarda il Policlinico Tor Vergata di Roma e vede coinvolti l’ex direttore generale Giuseppe Quintavalle e il cardiologo calabrese Francesco Barillà, originario della provincia di Reggio Calabria. Secondo l’accusa, sarebbero stati realizzati e convalidati 45 referti clinici alterati, un numero considerevole di documenti che avrebbero consentito a Barillà di attestare competenze specifiche in emodinamica, requisito necessario per l’assegnazione del primariato di cardiologia. L’inchiesta della Procura di Roma, condotta dalla pm Giulia Guccione, segna un punto di svolta su una vicenda che già lo scorso anno aveva sollevato polemiche, con la denuncia del medico Gaetano Chiricolo, che aveva accusato apertamente Barillà di comportamenti scorretti e reiterate assenze.
Il ruolo del cardiologo calabrese
Al centro della vicenda si trova la figura di Francesco Barillà, medico di formazione calabrese e già direttore della Scuola di specializzazione in cardiologia. È proprio lui, secondo le accuse, ad aver predisposto la falsificazione dei referti, utilizzando carta intestata della Sapienza – Policlinico Umberto I e modificando dati, firme e reparti di riferimento. In questo modo avrebbe creato una documentazione che testimoniava esperienze cliniche mai realmente maturate, necessarie per concorrere alla successione dello storico primario Francesco Romeo. La sua nomina a direttore dell’Unità di Cardiologia di Tor Vergata risale al 27 luglio 2023, data che per gli inquirenti rappresenta il frutto di un percorso costruito su documenti ritenuti irregolari. Il nome di Barillà, proprio perché proveniente da una regione – la Calabria – che negli ultimi anni ha visto spesso medici e professionisti emigrare verso centri universitari e ospedalieri del Nord e del Centro Italia, aggiunge ulteriore risonanza al caso, mettendo in discussione la credibilità di percorsi formativi e concorsuali.
Le conseguenze e il dibattito aperto
Accuse altrettanto gravi vengono mosse nei confronti di Giuseppe Quintavalle, oggi manager della Asl Roma 1, che secondo la Procura avrebbe garantito la validazione dei documenti falsi, permettendo di fatto la nomina di Barillà. La difesa del dirigente non ha rilasciato dichiarazioni, mentre il cardiologo ha già terminato i due anni di incarico, lasciando l’unità dopo il pensionamento, senza tuttavia dissipare le ombre su una vicenda che potrebbe avere strascichi pesanti in tribunale. Se le ipotesi d’accusa troveranno conferma in aula, lo scandalo rischia di riaprire il dibattito sui baronati universitari e sulla trasparenza delle nomine nelle strutture ospedaliere di eccellenza, in particolare nei policlinici romani. La presenza di un medico calabrese in un’indagine di tale portata non è un dettaglio secondario: evidenzia come i percorsi professionali di tanti specialisti del Sud possano essere messi in discussione da episodi che minano la fiducia dei cittadini nella sanità pubblica. Per la Calabria, che lotta da anni contro carenze strutturali e fughe di talenti, questo caso assume un peso simbolico ancora più rilevante, ricordando l’urgenza di coniugare merito, trasparenza e integrità nella crescita dei propri professionisti.