Giuseppe Falcomatà
Giuseppe Falcomatà

Giuseppe Falcomatà, figlio dell’indimenticato Italo, simbolo della “Primavera di Reggio”, è alla guida del Comune di Reggio Calabria dal 2014. Giovane, di estrazione progressista, cresciuto nel Partito Democratico e nel mito del riformismo meridionale, ha rappresentato per molti — almeno all’inizio — la promessa di un ritorno alla politica sobria, attenta al territorio, lontana dalle logiche clientelari. Una promessa che, col tempo, si è appannata sotto il peso degli scandali, della gestione opaca del potere e di un’immagine sempre più appiccicata alla retorica e sempre meno alla concretezza.

Falcomatà si è trovato a gestire un’eredità complessa, in un Comune uscito pochi anni prima dallo scioglimento per mafia (2012). I suoi primi mandati sono stati segnati da grandi difficoltà: bilanci rigidi, credibilità da ricostruire, emergenze urbane, una macchina amministrativa fragile. Eppure, alcune azioni simboliche hanno avuto peso. L’adesione al piano nazionale per la trasparenza, i progetti culturali finanziati coi fondi PON-Metro, la valorizzazione di alcune aree del lungomare, il rilancio di attività sociali nei quartieri popolari. Più di recente, sono partiti diversi cantieri finanziati dal Pnrr e dal fondo sviluppo e coesione, come la ristrutturazione del Parco Baden Powell, l’ammodernamento del campo di atletica Coni e alcuni interventi nel centro storico. Sul piano formale, l’amministrazione ha messo a punto strumenti urbanistici rimasti in sospeso da anni, tra cui il piano spiaggia e il piano regolatore del porto. E ha attivato percorsi di partecipazione civica come i “patti di collaborazione” per la cura dei beni comuni.

Il secondo mandato

Ma Reggio Calabria è anche la città dei disincanti rapidi. E il secondo mandato di Falcomatà, ottenuto nel 2020, si è trasformato in una parabola discendente. L’inchiesta giudiziaria che lo ha colpito — culminata nella condanna in primo grado per abuso d’ufficio per il caso Miramare — lo ha portato alla sospensione dalla carica per quasi due anni, tra il 2021 e il 2023. In quel periodo, il Comune è stato guidato dal vicesindaco Paolo Brunetti, in una situazione di stallo amministrativo, rimpasti continui, malumori politici e forti tensioni interne.

Il ritorno di Falcomatà a Palazzo San Giorgio, nel 2023, non ha segnato un vero cambio di passo. Anzi, la città si è trovata di fronte a un sindaco più preoccupato della propria immagine che dei problemi quotidiani dei cittadini. Le emergenze strutturali restano tutte: la carenza idrica cronica, i rifiuti, il degrado urbano, la desertificazione commerciale del centro, il collasso dei servizi pubblici. La distanza tra il sindaco e la popolazione è diventata tangibile. I toni istituzionali, sempre ben curati, non sono bastati a colmare l’assenza di risposte.

Il piano politico

Sul piano politico, Falcomatà ha faticato a mantenere coeso il centrosinistra cittadino. La sua giunta ha conosciuto varie tensioni e fratture, con momenti di forte instabilità. Alcuni assessori si sono dimessi o sono stati sostituiti senza che il sindaco riuscisse mai a ricostruire un’identità amministrativa forte. Il dialogo con le opposizioni è quasi inesistente, e anche dentro il suo stesso partito, il Pd, la leadership di Falcomatà viene sempre più spesso messa in discussione.

In questo contesto, si è di fatto aperta, dentro lo stesso campo progressista, la corsa alla candidatura alla pesidenza della Regione. Le voci su Falcomatà come possibile nome del Pd per il dopo-Occhiuto si moltiplicano, soprattutto alla luce degli scricchiolii della giunta regionale: l’inchiesta sul presidente della Regione Tenute del Castello, le frizioni interne alla maggioranza, in particolare con Fratelli d’Italia, e l’erosione del consenso — confermata anche dalla classifica del Sole 24 Ore (Governance Poll 2025), che lo colloca all’89º posto tra i sindaci italiani con un gradimento sotto il 47%, in calo di 11 punti rispetto al 2020 — hanno riacceso le manovre.

La "scalata" nel Pd

Falcomatà, intanto, lavora con metodo alla costruzione della sua scalata. L’associazione “Rinascita Comune”, da lui promossa e lanciata con eventi mirati in tutta la Calabria, non è solo un contenitore civico: è il preludio a una candidatura politica. Sta tessendo rapporti, riattivando vecchie reti del partito, posizionandosi all’interno del Pd come nome spendibile. Ma lo fa con una consapevolezza che molti notano: quella di non poter mai vincere davvero. Falcomatà compie questa mossa nonostante nel campo largo del centrosinistra c’è chi indica come opzione necessaria quella di una figura fuori dai partiti, capace di unire anziché dividere. Ma perché lo fa, sapendo di non poter vincere seriamente con una coalizione spaccata? Che sia colpa del trasversalismo che contraddistingue la politica calabrese?

A fare i conti, però, sono ancora i fatti. E Reggio Calabria, oggi, appare ferma. Ancorata a una gestione debole, a una politica che vive di annunci più che di decisioni, e a una classe dirigente che sembra più impegnata a posizionarsi che a governare. Le ambizioni regionali di Falcomatà sono legittime, ma il bilancio del suo secondo mandato — tra promesse inevase, crisi politiche, fratture sociali e calcoli personali — non gioca a favore della sua credibilità. Anche stavolta, tra luci e ombre, il conto pende nettamente dalla parte delle negatività.