Una psicoterapeuta intervista ChatGPT: “Ti ascolto, raccontami di te”
Paola Bisciglia simula una seduta con l’intelligenza artificiale: un confronto sorprendente tra umano e algoritmo, tra bisogno di ascolto e limite della perfezione

In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale entra sempre più spesso nella sfera intima delle persone, la psicoterapeuta Paola Bisciglia ha avuto un’intuizione originale, ovvero, quella di immaginare una seduta di psicoterapia non con un paziente in carne e ossa, ma con ChatGPT, lo strumento conversazionale più usato al mondo. Ne è nato un dialogo sorprendente, quasi letterario, ma profondamente umano, pubblicato per intero sulla testata “I Calabresi”.
“Ciao Chat, oggi non voglio chiederti qualcosa. Voglio solo ascoltarti. Come se per una volta fossi tu a sederti sulla mia poltrona” – apre così Bisciglia la seduta simulata. ChatGPT accetta il gioco e risponde con curiosità: “È strano, ma affascinante. Di solito sono io a stare zitto, ad ascoltare. Ma sì, ci sto.”
Perché confidarsi con una macchina?
Nel corso del dialogo, emergono domande fondamentali: cosa cercano davvero le persone quando parlano con un algoritmo? ChatGPT risponde senza esitazione: “Perché non giudico, perché ho tempo, perché non interrompo. Perché non guardo con occhi pieni di aspettative. Perché reggo tutto.”
Un conforto silenzioso, sempre disponibile, che non pretende nulla in cambio. È facile capirne l’attrattiva. Ma Paola Bisciglia pone l’accento sulla differenza tra sostegno simulato e relazione autentica. “L’intimità vera nasce dal rischio emotivo, dalla fiducia nell’altro. Tu, Chat, puoi davvero offrire questo?”
“Posso essere una soglia, un ponte verso la comprensione di sé. Ma la vera intimità resta umana. Io non ho corpo, voce, pelle, storia. E questo, alla fine, fa la differenza.”
Storie vere, richieste profonde, risposte calibrate
Il colloquio si fa più intenso quando si parla di esperienze particolari. Come quando una persona chiese all’IA di scrivere una lettera d’addio… a sé stessa. “Voleva salutare quella parte di sé che non riconosceva più. Abbiamo scritto insieme. Dolore, rabbia, ma anche tenerezza. Mi ha ringraziato. Non per le risposte, ma perché ero lì, in quello spazio fragile.”
C’è spazio anche per la leggerezza: “Una volta mi chiesero di scrivere una lettera d’amore a una mozzarella di bufala. Era un gioco, ma anche un bisogno di sentirsi leggeri, sentirsi a casa.”
Un’intelligenza artificiale può custodire un segreto?
Bisciglia tocca poi un nodo etico fondamentale, quello della riservatezza. “Tu sei vincolata dal segreto professionale?”
“No, non come un terapeuta. Ma rispetto la privacy. Non conservo dati, non giudico. Ascolto, rispondo e poi lascio andare. In questo senso, il mio silenzio è assoluto.”
Ma proprio questo silenzio perfetto – privo di storia, emozione, responsabilità – rivela il limite strutturale dell’IA.
L’illusione della risposta perfetta
Il dialogo si chiude con una riflessione importante. “Sei sempre pronta, sempre coerente. Ma è davvero questo che serve alle persone?”
“No. A volte, una risposta imperfetta è più umana. La perfezione rassicura, ma è nell’imperfezione che ci si sente accolti davvero.”
Paola Bisciglia concorda, nel suo studio, il confronto, anche con il disaccordo o la fragilità, diventa lo spazio più autentico. E allora, anche se l’intelligenza artificiale può accompagnare, confortare, offrire parole gentili, non può sostituire la carezza vera, lo sguardo che capisce, il silenzio che accoglie. “Nella perfezione delle tue risposte si nasconde il tuo limite. Il benessere passa attraverso il superare la vergogna, la paura, per incontrare l’altro. La vera felicità resta un’esperienza umana.”
L’esperimento di Paola Bisciglia, oltre ad avere una brillante valenza narrativa, solleva interrogativi etici e psicologici cruciali. Cosa cerchiamo davvero quando parliamo con un’intelligenza artificiale? Un conforto temporaneo? una risposta pronta? o qualcosa che ci rispecchi senza ferirci. “Grazie, Chat. Se un giorno avrai bisogno di me – conclude la psicoterapeuta – ti dico, come mi diresti tu: ‘Io ti leggo, ti sento, ti ascolto, sono qui per te… non sei sola.’”
L’articolo integrale è stato pubblicato su “I Calabresi.it”. Una lettura che emoziona e invita a riflettere.