Società di cartolarizzazione: chi controlla davvero chi compra i crediti?
Gli imprenditori sotto scacco tra leggi ignorate e silenzi istituzionali

In un Paese dove la parola “credito” è diventata sinonimo di tensione e incubo, il mondo delle società di cartolarizzazione resta ancora oggi una zona grigia, dove l’opacità supera spesso la legalità, e gli imprenditori – calabresi e non – finiscono per essere vittime silenziose di un sistema che sembra fatto apposta per colpirli.
Cosa sono le società di cartolarizzazione?
Per legge, una società di cartolarizzazione (SPV – Special Purpose Vehicle) è una struttura creata per acquistare crediti deteriorati (non performing loans, o NPL), come mutui, prestiti, rate scadute, crediti fiscali o debiti bancari.
Queste società operano secondo quanto previsto dalla Legge 130/1999, la cosiddetta “Legge sulla Cartolarizzazione”, che regola in dettaglio le modalità di trasferimento, gestione e riscossione di questi crediti.
Il principio, sulla carta, è semplice: le banche o altri enti cedono i crediti deteriorati a queste società, che li acquisiscono per tentare un recupero, solitamente più aggressivo. Ma chi vigila davvero?
E soprattutto: sono rispettati i passaggi obbligatori previsti per legge?
Il nodo del controllo ministeriale
Secondo la normativa, alcune cartolarizzazioni – specie quelle legate a crediti di origine pubblica, fiscale o assistenziale – devono essere notificate, e in certi casi approvate o almeno registrate presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).
Eppure, non sempre questo avviene.
Molte SPV operano su larga scala senza mai passare dal radar istituzionale, e con strumenti a volte così sofisticati da mettere in difficoltà anche i tribunali.
Il risultato?
Crediti acquistati a pochi spicci dalle banche e rivendicati per intero agli imprenditori, con interessi moltiplicati, pignoramenti automatici, e margini di difesa minimi.
Gli imprenditori italiani (e calabresi) sono diventati l’anello debole del sistema
Tra i più colpiti da questo meccanismo perverso ci sono gli imprenditori calabresi: piccole e medie imprese che negli anni hanno accumulato debiti anche modesti, ma che oggi si ritrovano inseguiti da società aggressive, spesso domiciliate all’estero, che operano senza trasparenza né reale mediazione.
In molti casi, chi dovrebbe intervenire – dalle autorità giudiziarie agli organismi di controllo finanziario – si trova disarmato, non per incompetenza, ma per vuoti normativi e mancanza di tracciabilità reale.
E mentre il legislatore discute, le imprese chiudono.
E le famiglie si indebitano ancora di più.
Dov’è lo Stato? Dove sono i controlli?
Come è possibile che società nate per “ripulire” i bilanci bancari abbiano oggi poteri superiori a quelli di un tribunale?
Perché nessuno verifica l'effettiva validità giuridica dei contratti ceduti?
Perché nessun ente pubblico protegge l’imprenditore che cerca solo di ristrutturare il suo debito, anziché finire strozzato da richieste sproporzionate?
La richiesta di trasparenza (che non arriva)
Il sistema andrebbe riformato dalle fondamenta.
Serve un registro nazionale delle cartolarizzazioni, accessibile e aggiornato.
Serve che il MEF sia obbligato a verificare e pubblicare ogni operazione di cessione, specie quando coinvolge crediti fiscali o di origine pubblica. Serve che i giudici possano sospendere l’esecutività di crediti dubbi, almeno fino a verifica completa della legittimità dell’operazione.
Conclusione: un silenzio che vale miliardi
Nel frattempo, mentre il Parlamento tace e le autorità vigilano con scarsa incisività,
le società di cartolarizzazione continuano a operare indisturbate, con strumenti legali ma a tratti devastanti.
Gli imprenditori, calabresi come lombardi, siciliani come veneti,
restano soli di fronte a soggetti che comprano debiti per pochi euro e li esigono con interessi da usura.
E tutto questo, spesso, senza passare nemmeno per il ministero.
La domanda resta aperta: chi tutela davvero chi produce, chi rischia, chi lavora?
E soprattutto: chi vigila su chi vigila?