Il Caso Villella: il presunto brigante calabrese tra Lombroso e la restituzione dei resti
Giuseppe Villella, impoverito pastore di Motta Santa Lucia, finì come modello antropologico per Lombroso. Oggi il suo cranio diventa simbolo di una battaglia tra scienza e dignità calabrese

Il caso Giuseppe Villella rimane emblema di un Sud che fu umiliato dalla scienza del tempo, ma che oggi paventa un recupero della memoria e della dignità. Tra ossessioni criminali pseudoscientifiche e battaglie giuridiche per un teschio, emerge la domanda più vasta: a chi appartiene la verità storica e chi può reclamarne il possesso? La vicenda resta aperta, con motivazioni identitarie che si confrontano con criteri culturali e scientifici.
La figura tragica di Giuseppe Villella
Giuseppe Villella, nato a Motta Santa Lucia nei primi anni del XIX secolo, fu arrestato e condannato per furto di bestiame. Scomparve in carcere a Pavia nel 1864, entrando nella storia non come brigante politico, ma come vittima delle teorie pseudoscientifiche di Cesare Lombroso. Secondo ricerche più recenti, Villella era un contadino con comportamenti marginali, non un patriota o leader insurrezionale.
Lombroso e la craniologia del “brigante”
Il cranio di Villella fu esaminato da Lombroso che, scoprendo una fossetta occipitale anomala, la interpretò come segno di atavismo criminale. Questa diagnosi servì da base per sviluppare le sue teorie del comportamento criminale innato. Villella divenne così la genesi simbolica dell’antropologia criminale: un povero scheletro esposto in un museo torinese come prova fisica di una teoria oggi considerata del tutto superata.
La battaglia per riportare i resti in Calabria
Nel 2012 il Comune di Motta Santa Lucia, sostenuto dal Comitato “No Lombroso”, ottenne dal tribunale di Lamezia Terme una sentenza favorevole per la restituzione del cranio e la degna sepoltura. Tuttavia, l’Università di Torino fece ricorso e nel 2017 la Corte d’Appello di Catanzaro ribaltò la decisione. La Cassazione confermò nel 2019 che il cranio rientrava nelle categorie di “bene culturale” e poteva rimanere in esposizione per il suo valore storico-scientifico.
Etica, memoria e interesse pubblico
Il caso Villella è una controversia che interpella due visioni: da un lato, la dignità postuma di una persona semplice da restituire alla propria terra; dall’altro, il valore storiografico e scientifico del reperto come testimonianza di un’epoca di errori e teorie obsolete. Le decisioni giudiziarie sostengono che, pur respingendo l’interpretazione di Lombroso, non si può negare l’importanza di conservare un oggetto che ha segnato la storia della criminologia.
Un simbolo calabrese da rivalutare
Il Comune di Motta continua a far pervenire appelli istituzionali e culturali, cercando supporto per rivedere la normativa che impedisce la restituzione. Villella è entrato nell’immaginario calabrese come simbolo di marginalizzazione e di uso strumentale del Sud. In parallelo, studiosi come Maria Teresa Milicia hanno documentato attraverso archivi e testimonianze la sua storia reale, negata dalle teorie lombrosiane.