La 'ndrina Lo Giudice: ombre e colpi di scena nel cuore di Reggio Calabria
Da Santa Caterina al pentimento di “Nino il nano”: la storia di un clan potente e dalle ramificazioni oscure

La 'ndrina Lo Giudice emerge come una delle più influenti e complesse della realtà metropolitana reggina: dai conflitti armati delle faide, passando per la gestione di armi pesanti, fino ai colpi di scena legati al pentimento di uno dei suoi elementi di spicco. Le pesanti condanne e i processi hanno schiacciato parte della struttura, ma l’eredità criminale e le connessioni corrotte la rendono un capitolo ancora aperto nella lotta alla ‘ndrangheta.
Origini e territorio di influenza
La ‘ndrina Lo Giudice opera nel quartiere di San Giovannello–Eremo, una porzione del borgo di Santa Caterina a Reggio Calabria. Durante la Seconda guerra di ‘ndrangheta (1985–1991), si schierò al fianco dei clan Imerti‑Condello‑Serraino‑Rosmini, partecipando a una delle faide più cruente della storia mafiosa calabrese.
La leadership e le reti criminali
Giuseppe Lo Giudice, poi ucciso nel 1990 a Roma mentre era in regime di soggiorno obbligato, è stato uno dei capi storici. Il clan era noto per la gestione di armerie, traffico di armi anche da guerra, estorsioni e rapporti corruttivi con istituzioni locali.
“Io, artefice delle bombe”: Pentimento e retromarcia
Nel 2010 Antonino “Nino il nano” Lo Giudice – ritenuto autore di attentati dinamitardi contro la Procura e magistrati come Di Landro e Pignatone – si consegna e diventa collaboratore. Viene condannato a 6 anni e 4 mesi per l’uso di esplosivo e la detenzione di un bazooka. Nel 2013 scappa dagli arresti domiciliari, ritrattando le confessioni, ma viene catturato e torna in carcere.
Condanne storiche e arresti di massa
Negli anni seguenti sono cadute diverse teste. Luciano Lo Giudice, fratello di Antonino, è stato condannato a 20 anni come capoclan. In totale, nel 2014, furono inflitte pene tra i 4 e i 20 anni a dieci esponenti del gruppo, incluso un ex capitano dei Carabinieri accusato di concorso esterno.
Attività intrecciate
Il clan faceva affidamento su relazioni istituzionali per immunità e copertura. Luciano Lo Giudice gestiva il traffico di armi, assieme ai fratelli Cortese e a vari affiliati. Numerosi arresti della Squadra Mobile testimoniano gli sforzi per colpire il gruppo.