La Calabria, pur tra molte difficoltà strutturali, mostra segni incoraggianti nel settore del biologico: è una delle regioni italiane con le quote più alte di superficie agricola utilizzata dedicata a produzioni biologiche, in particolare nelle zone interne e collinari. Tuttavia, gran parte degli operatori biologici non riesce a valorizzare il prodotto entro i confini regionali, relegando la produzione calabrese a semplice materia prima destinata altrove.Questa situazione esprime una doppia sfida: da un lato consolidare il vantaggio competitivo che il territorio già possiede in termini naturali e paesaggistici; dall’altro “tenere” i frutti del successo sul territorio, costruendo filiere corte, logistica efficiente e mercato locale robusto.

I vantaggi del modello biologico

Un’agricoltura più sostenibile può offrire benefici molteplici: miglioramenti ambientali (suolo meno sfruttato, minor uso di agrochimici, maggiore biodiversità), vantaggi sanitari per consumatori, maggiore prestigio per le produzioni locali, e potenziale aumento dei margini economici per il contadino che opera secondo regole più rigorose.

In un contesto dove i consumi di prodotti biologici continuano a crescere a livello nazionale, la Calabria può posizionarsi come regione produttrice d’eccellenza, a patto di superare i colli di bottiglia legati a certificazione, costi di transizione, distanza dai mercati maggiori e scarsa infrastrutturazione.

Gli ostacoli da superare

Non mancano le criticità: molti produttori lamentano procedure burocratiche complesse, costi elevati per la certificazione e difficoltà logistico-distributive per immettere il prodotto biologico su mercati competitivi. Spesso manca anche la collaborazione istituzionale e una programmazione regionale forte che accompagni la transizione.

Inoltre, il tessuto rurale calabrese è spesso frammentato, con piccole aziende che fanno fatica a organizzarsi in consorzi o cooperative. Senza una massa critica, è difficile affrontare i costi delle certificazioni, le strategie di marketing e l’accesso ai mercati nazionali e internazionali.

Idee per una strategia vincente

Per trasformare le opportunità in realtà occorre un piano integrato. Innanzitutto, promuovere e finanziare le filiere corte e i centri di raccolta locali: raccogliere e trasformare in Calabria anziché esportare materie prime. Creare reti cooperative che condividano costi di certificazione, logistica e comunicazione.

Poi investire in tutela della qualità, con marchi territoriali ben definiti e controlli affidabili, per distinguere i prodotti calabresi dagli altri sullo scaffale. È importante coinvolgere giovani agricoltori, offrire formazione e sostegno tecnico, e favorire l’uso di tecnologie digitali utili al monitoraggio ambientale.

Infine, l’ente pubblico deve giocare un ruolo forte: piani regionali dedicati, incentivi agli investimenti sostenibili, accordi con le università per ricerca e innovazione e promozione turistica dei prodotti biologici legati al territorio.

Il biologico come leva di rinascita territoriale

Se ben governata, l’agricoltura biologica può diventare per la Calabria un motore di sviluppo rurale, presidio sociale nelle aree interne, elemento d’attrazione turistica e strumento di riconoscimento internazionale. Ma non basta “aspettare” che accada: serve volontà politica, visione strategica e azioni reali.

La Calabria ha le carte in regola per emergere — con il suolo, il clima e le tradizioni che possiede — ma deve finalmente mettere in campo le politiche che diano corpo e valore a questo potenziale, per non limitarsi a essere regione “bio” solo nei numeri, ma nella realtà quotidiana degli agricoltori e dei consumatori.