Sanità calabrese: odissea per una TAC urgente. “Così si agevola il privato e si penalizza chi ha bisogno”
“Per una TAC urgente mi hanno dato appuntamento a gennaio 2026. Alla fine ho dovuto pagare 130 euro in privato”

In un periodo in cui si discute spesso dei problemi cronici della sanità pubblica, arriva una testimonianza diretta che fotografa con crudezza una realtà difficile da accettare. La riportiamo integralmente, con la speranza che possa stimolare un confronto serio tra cittadini e istituzioni sanitarie.
Una prenotazione impossibile
Egregio Direttore,
ho letto che il suo giornale dedica attenzione alle problematiche della sanità calabrese. Questo mi fa piacere, perché ci sono situazioni che vanno raccontate senza timori.
Mi permetta di condividere la mia disavventura presso l’Azienda Ospedaliera di Cosenza. Mi reco personalmente al CUP per prenotare una TAC encefalo, prescritta dal mio medico curante con diagnosi di sospetto TIA (attacco ischemico transitorio, ndr). Dopo un’attesa estenuante, finalmente tocca a me: l’operatore mi comunica che il primo appuntamento disponibile è a gennaio 2026.
Ho provato un senso di rabbia e smarrimento. Considerata la gravità del sospetto diagnostico, mi è sembrato un colpo basso, inaccettabile. L’operatore, con tono cortese ma impotente, mi invita a tornare dal medico per far indicare l’urgenza sulla prescrizione.
L’urgenza... non basta
Obbedisco e, con non pochi disagi, torno dal mio medico che aggiunge l’urgenza. Il giorno seguente, mi presento di nuovo al CUP, questa volta con l’impegnativa aggiornata. Tre ore di fila. Quando finalmente arriva il mio turno, l’operatore mi informa che, con l’urgenza, il primo posto disponibile è a Rossano.
Per me, raggiungere Rossano è praticamente impossibile, per motivi di salute e familiari. Sembra uno scherzo, ma è tutto reale. A quel punto, la mia unica opzione è stata rivolgermi a uno studio privato, dove ho dovuto pagare 130 euro.
Sanità pubblica o percorso a ostacoli?
Mi chiedo: è normale tutto questo? È accettabile che una persona con problemi di salute seri debba subire un simile calvario solo per effettuare un esame urgente? Chi di competenza dovrebbe spiegarmi – e spiegare a tutti noi – perché accadono queste cose.
Mi rivolgo al primario del reparto di radiologia, o a chi ne fa le veci, e ai suoi collaboratori: si rendono conto di cosa significhi essere dall’altra parte dello sportello? Per noi cittadini non si tratta di numeri o codici, ma della nostra vita, della nostra salute. Eppure, sembra che a nessuno interessi davvero.
Chi ci rimette? Solo i più deboli
Alla fine, il risultato è che chi può pagare si cura, e chi non può... aspetta. O peggio. Mi domando se l’obiettivo implicito non sia proprio quello di spingere i cittadini verso il privato, lasciando il pubblico in un limbo inaccessibile. E intanto chi ha bisogno urgente resta in attesa, con la diagnosi sospesa e la paura addosso.
Come dice un vecchio proverbio: "Intanto che il medico studia, l’ammalato muore."
Io aggiungo: muore perché qualcuno vuole ingrassare il ricco e togliere al povero.
Non si tratta di politica, ma di responsabilità
Non faccio parte di alcun schieramento politico. Non voto dal 2000. Ma da cittadino, da paziente, ritengo che le colpe non siano tutte da attribuire a presidenti di Regione o direttori generali. Le responsabilità stanno anche nei reparti, nei responsabili che conoscono bene le criticità quotidiane ma spesso si limitano a gestire l’ordinario, senza cercare soluzioni.
Servirebbe più attenzione, più empatia, più collaborazione. Perché non si vendono ricambi d’auto: si parla della salute delle persone, e questo dovrebbe bastare per cambiare le cose.