Non scrivo queste parole per ricevere compassione. Scrivo perché sento il bisogno profondo di dare voce all'ingiustizia che ho vissuto.

Vorrei raccontare, con profonda amarezza e dolore, l’esperienza vissuta nei giorni scorsi presso il pronto soccorso di Cosenza.  

In quella stanza dove avrebbe dovuto esserci cura, attenzione e dignità per ogni paziente, ho assistito a scene che mai avrei voluto vedere.

Una donna anziana, con educazione e disperazione, ha chiesto che venisse cambiato il marito, ormai in condizioni igieniche compromesse.  

La risposta dell'infermiera è stata arrogante e disumana: "Non è compito mio, non sono qui per cambiare vostro marito e tanto meno gli altri signori".

Frasi che fanno male più delle ferite, dette senza un minimo di rispetto verso chi, in quel momento, si trova in uno dei momenti più fragili della propria vita.

In quella stessa stanza, un'altra signora anziana, caduta e piena di lividi, chiedeva semplicemente un po’ di ghiaccio per alleviare il dolore.  

Il poco ghiaccio che le avevano dato inizialmente, a causa della lunga attesa, si era ormai sciolto trasformandosi in acqua.  
Nonostante le sue richieste educate, nessuno si è preoccupato di portarle del ghiaccio nuovo.

Mia nonna, invece, era lì, ricoverata d'urgenza per problemi respiratori: affidata non a personale esperto, ma a una tirocinante confusa, che non ricordava neanche a quanto impostare una flebo, una situazione surreale, dove io, una nipote di vent’anni, ho dovuto correggere, controllare, sperare di non sbagliare.

Nel frattempo, il dottore pensava bene di scherzare e invitare la tirocinante a "fumarsi una sigaretta", mentre il pronto soccorso era pieno di persone che soffrivano.

Hanno privato una donna anziana, fragile e spaventata, dell'ultimo affetto dei suoi cari, dell'ultima carezza, della certezza che noi fossimo li, vicini a lei.Hanno strappato a noi la possibilità di esserle vicini fino alla fine.

Mia nonna, purtroppo, alla fine non ce l’ha fatta.  
Non so se sarebbe cambiato qualcosa, ma so per certo che dignità, rispetto e attenzione non dovrebbero mai mancare in un ospedale.

Chi lavora in un ospedale deve ricordarsi che, oltre le cartelle cliniche, ci sono vite, amori, famiglie spezzate, e che non si tratta solo di numeri.

Non chiedo miracoli.
Chiedo umanità.
Chiedo che si ritorni a guardare chi soffre come un essere umano, non come un fastidio.
La sanità di Cosenza è una ferita aperta.

E io non smetterò di urlarlo, per mia nonna, e per tutte le nonne, madri, padri e figli che meritano rispetto, non abbandono.

Non è accettabile morire così, non è accettabile vivere un addio in queste maniere.
Avete dimenticato cosa vuol dire essere persone prima che medici.

Cosenza merita molto, molto di più.

Maria Assunta