Fermo pesca nel Tirreno, per la Calabria perdite pesanti: rischio di 26 milioni in meno per il settore
Il blocco aggiuntivo di novembre imposto dal Masaf penalizza i pescherecci calabresi e l’intero comparto tirrenico
Il nuovo fermo pesca aggiuntivo di 30 giorni deciso dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare sta colpendo duramente il comparto ittico tirrenico, con perdite stimate tra i 25 e i 26 milioni di euro solo nel mese di novembre.
Il provvedimento riguarda i pescherecci che utilizzano sistemi da traino e interessa le coste di Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, con lo scopo di compensare lo sforamento dei giorni di pesca autorizzati e scongiurare un blocco totale delle attività fino a fine anno, inizialmente proposto dalla Commissione Europea.
Secondo le stime di Confcooperative Fedagripesca, la pesca nel Tirreno genera un valore economico annuo compreso tra 160 e 230 milioni di euro, rappresentando un settore vitale per le comunità costiere e per centinaia di microimprese familiari.
La Calabria tra le regioni più penalizzate
Anche la Calabria si trova a pagare un prezzo altissimo per il prolungamento del fermo. Le flotte tirreniche calabresi, concentrate in particolare nei porti di Vibo Valentia, Bagnara, Amantea e Paola, rappresentano una componente strategica del comparto nazionale, ma restano composte in gran parte da piccole imbarcazioni a conduzione familiare, oggi allo stremo dopo due mesi consecutivi di inattività.
Il fermo di ottobre, già imposto per motivi biologici, ha lasciato molti pescatori senza reddito, e il blocco aggiuntivo di novembre rischia ora di compromettere la sopravvivenza economica di decine di imprese.
Il presidente di una cooperativa locale ha parlato di “un colpo durissimo per un’economia già fragile, dove ogni settimana di fermo può significare la chiusura di un’attività o l’abbandono del mestiere da parte dei più giovani”.
Le motivazioni ecologiche e le critiche del settore
L’obiettivo principale del fermo è la tutela del nasello, specie considerata in stato di sovrasfruttamento nel bacino tirrenico e molto apprezzata dai consumatori italiani: 7 su 8 lo consumano regolarmente, secondo un’indagine Fedagripesca.
Tuttavia, le associazioni del settore criticano la rigidità della misura. “Il lungo negoziato con Bruxelles – spiega Fedagripesca – ha evitato la chiusura totale delle attività, ma ha imposto nuove rinunce, anche alla pesca artigianale e ai palangari, categorie già fortemente provate dall’aumento dei costi e dal calo dei ricavi”.
L’appello del settore: “Senza aiuti, molte imprese non riapriranno”
Confcooperative Fedagripesca ha rivolto un appello urgente all’Unione Europea e al governo italiano affinché vengano varati strumenti immediati di compensazione economica per le cooperative di pescatori e i mercati ittici.
“Due mesi senza reddito – sottolinea la nota – non sono sostenibili. Servono fondi straordinari per sostenere le marinerie e un intervento sul Regolamento Feampa, il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, per includere tutte le domande di demolizione ancora pendenti”.
Un settore in bilico tra sostenibilità e sopravvivenza
Il caso calabrese, come quello di altre regioni del Sud, dimostra che la sostenibilità ambientale non può essere perseguita senza tutele sociali ed economiche per chi vive di mare.
Con le flotte ferme e i mercati ittici deserti, la Calabria rischia non solo un danno economico immediato, ma anche un impoverimento culturale e identitario: quello delle comunità costiere, custodi di tradizioni secolari che rischiano di scomparire sotto il peso delle crisi e dei vincoli europei.
In attesa di nuovi aiuti, il mare calabrese resta in silenzio: non solo per rispetto della natura, ma anche per la disperazione di chi non può più permettersi di lavorare.