Sanità calabrese, il Commissariamento senza fine
Perché Occhiuto resta commissario ad acta e perché la Calabria non è ancora "libera"
Nella sanità calabrese non è cambiato il punto centrale: la gestione resta commissariata. Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, è stato nuovamente individuato come commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, con la funzione di guidare la fase “di transizione” verso l’uscita dal commissariamento. La conferma arriva da fonti istituzionali regionali e nazionali ed è stata riportata anche da Ansa.
Questa scelta non è un dettaglio tecnico. È politica, è amministrativa, ed è soprattutto strutturale. Perché ci dice che, al netto degli annunci sulla “sanità restituita ai calabresi”, la Calabria resta ancora sotto una forma di controllo straordinario. È la prosecuzione di un modello eccezionale nato nel 2010 con il Piano di rientro, che avrebbe dovuto durare poco e invece è diventato la normalità.
Di seguito analizziamo: quali sono i motivi ufficiali per cui la nomina (e la proroga) del commissario viene giustificata; quali sono, invece, i numeri e gli elementi pubblici oggi disponibili su bilanci, organizzazione e qualità dei servizi sanitari in Calabria; dove sta la frizione politica — e quindi lo scoop giornalistico.
Le motivazioni ufficiali: “serve continuità finché il piano di rientro non è chiuso”
Occhiuto sostiene che la Calabria non è ancora nelle condizioni formali per uscire dalla gestione commissariale perché il percorso tecnico-amministrativo non è completato. La linea ufficiale è questa: esiste un Piano di rientro dal disavanzo sanitario e finché questo piano non viene esaminato, validato e approvato negli organismi nazionali competenti, la Regione non può rientrare in regime ordinario.
Tradotto: per uscire dal commissariamento bisogna dimostrare due cose: che i conti sanitari sono sotto controllo; che i livelli essenziali di assistenza (Lea) sono garantiti.
Secondo quanto dichiarato pubblicamente, il piano aggiornato deve passare due step: la Conferenza Stato-Regioni; un organismo tecnico dedicato alla verifica, organismo che, come ha spiegato lo stesso Occhiuto, fino a pochi giorni fa “non era nemmeno costituito”. Solo ora è stato formalmente istituito e da qui parte il conteggio dei famosi “trenta giorni”. In altre parole: la motivazione ufficiale è burocratico-istituzionale.
Si dice: “Siamo pronti, ma manca l’ultimo passaggio tecnico. Fino a quel momento qualcuno deve avere pieni poteri per firmare gli atti urgenti, nominare i vertici delle aziende sanitarie, garantire la continuità. Quel qualcuno deve essere il commissario. E il commissario resto io”. Occhiuto ha anche spiegato che mantenere il potere commissariale serve per “assumersi la responsabilità delle decisioni, rivedere la governance delle aziende sanitarie e firmare gli atti fino al superamento del commissariamento”.
Questa è la versione ufficiale: non una scelta politica, ma una necessità tecnica. Non una gestione accentratrice, ma una continuità amministrativa obbligata dal quadro normativo nazionale sul Piano di rientro.
I numeri della sanità calabrese: conti in miglioramento, servizi ancora in difficoltà
Qui però inizia la parte interessante, perché i dati pubblici raccontano una storia a due facce. Negli ultimi anni, la Regione Calabria ha lavorato alla normalizzazione dei bilanci sanitari. Nel 2025 sono stati approvati i bilanci della Gestione Sanitaria Accentrata (Gsa) dal 2015 al 2021, e successivamente è stato approvato anche il bilancio consolidato del servizio sanitario regionale al 30 giugno 2025. Questo passaggio è stato definito “un passo verso la normalizzazione dei conti” e, nelle parole istituzionali, un tassello necessario per poter parlare di uscita dal commissariamento.
Traduciamo cosa significa, in termini giornalistici: per anni in Calabria non c’erano bilanci consolidati completi e chiusi per tempo; senza bilanci certificati non è possibile dimostrare allo Stato che il disavanzo è sotto controllo; senza questa prova, non si esce dal Piano di rientro.
Quindi, da un punto di vista contabile, c’è stato un allineamento: oggi la Regione può presentarsi a Roma e dire “i numeri sono finalmente chiari, tracciabili, certificati”.
Tuttavia, secondo analisi economico-finanziarie circolate sul comparto sanitario calabrese, il debito storico non è stato cancellato, ma solo parzialmente ridotto e in parte ricollocato: da oltre 2 miliardi di euro di passivo accumulato negli anni del piano di rientro, la voce “Debiti” risulta ancora nell’ordine di oltre 1,4 miliardi nel bilancio consolidato del Servizio Sanitario Regionale 2023, con 1,53 miliardi registrati dalla Gestione Sanitaria Accentrata. Quindi i numeri migliorano ma non si può parlare di sanità “in attivo” o pienamente risanata.
In sostanza: la Calabria può mostrare oggi bilanci più ordinati, ma non può ancora sostenere di avere una sanità finanziariamente libera e autonoma. Il debito esiste ancora, e pesa.
C’è poi il tema della governance. Il commissario ad acta ha il potere di nominare (o confermare) commissari straordinari nelle aziende sanitarie provinciali e ospedaliere al posto dei direttori generali ordinari. Questo potere è stato esercitato più volte anche nel 2024, proprio “per assicurare continuità gestionale” e in attesa di una normalizzazione prevista da decreti nazionali.
Questo significa una cosa semplice: gli atti fondamentali di gestione sanitaria in Calabria (spesa, personale, riorganizzazione dei servizi, piani ospedalieri) dipendono direttamente dal commissario ad acta. Non sono più nella piena disponibilità degli organi ordinari del servizio sanitario regionale. È un modello di emergenza prolungata nel tempo.
Sul piano dell’offerta sanitaria reale, la percezione dei cittadini calabresi resta critica: pronto soccorso sotto pressione, personale insufficiente, liste d’attesa lunghe, mobilità sanitaria in uscita ancora altissima. Sono elementi da anni documentati nei rapporti su LEA e nei rilievi della Corte dei Conti sulla Calabria, che hanno sempre indicato due criticità intrecciate: capacità di spesa e capacità organizzativa.
In più, la Regione Calabria è stata costretta a dichiarare lo “stato di emergenza della rete ospedaliera” per accelerare i nuovi ospedali e gli interventi infrastrutturali.
Perché è rilevante? Perché se si dichiara lo “stato di emergenza” per gli ospedali, implicitamente si riconosce che la rete ospedaliera ordinaria non è sufficiente a garantire servizi sicuri e stabili nei tempi dovuti. È una certificazione di criticità strutturale.
Quindi, mentre la linea politica e istituzionale rivendica: “Stiamo mettendo a posto i conti, stiamo chiudendo il commissariamento”, gli indicatori di servizio dicono ancora: “L’offerta sanitaria non è al livello minimo nazionale garantito in modo uniforme”.
La frizione politica e il nodo di credibilità
Qui si apre il vero punto giornalisticamente sensibile — ed è anche il terreno più delicato sul piano legale. Non è una questione personale: è una questione di coerenza istituzionale.
Da mesi, la narrazione politica è: “Il commissariamento sta finendo, la sanità torna ai calabresi, stiamo entrando nella gestione ordinaria”. È un messaggio che ha un peso enorme dal punto di vista del consenso, perché in Calabria il commissariamento sanitario è vissuto come il simbolo dell’umiliazione esterna: Roma che controlla, poteri speciali che decidono al posto del territorio.
Il fatto amministrativo, però, dice altro. La Calabria è ancora formalmente nel Piano di rientro e dunque ancora sotto vincolo nazionale. La Regione ha ancora bisogno del commissario ad acta con poteri straordinari per firmare atti e fare nomine. Lo stesso presidente di Regione viene confermato nel ruolo commissariale per “garantire continuità” fino al completamento del percorso tecnico che deve passare da Roma.
Questa sovrapposizione di ruoli è presentata come una tutela dell’interesse pubblico (“serve qualcuno che abbia la forza politica per imporre scelte difficili, quindi lo faccio io”). Ma si presta ad almeno due letture politiche. Lettura di governance forte: Tenere insieme presidenza della Regione e commissariamento significa concentrare in un’unica figura sia la rappresentanza politica che il potere operativo straordinario sulla sanità. L’argomento di chi sostiene questa linea è: “Solo così si sbloccano i cantieri, si assumono medici, si impongono riorganizzazioni agli apparati locali”. È una visione quasi “commissario-sindaco d’emergenza”: poche mani al volante, niente mediazioni.
Lettura di controllo totale: L’altra lettura, più critica, osserva che questa situazione consegna alla stessa persona (il presidente della Regione) sia la capacità di dichiarare che “la sanità sta migliorando”, sia il potere di nominare chi gestisce le aziende sanitarie, sia la possibilità di attribuire eventuali ritardi o criticità a passaggi tecnici “ancora in corso a Roma”. In pratica, la catena di responsabilità politica e amministrativa si accorcia e si sfuma: quando qualcosa va bene, è merito della guida forte; quando qualcosa va male, è colpa della lentezza del meccanismo nazionale di uscita dal commissariamento.
Questa tensione è centrale perché permette al governo regionale di rivendicare risultati (bilanci messi in ordine, procedure avviate per nuovi ospedali, pianificazione in corso) e allo stesso tempo di giustificare ciò che ancora non funziona (liste d’attesa, carenze nei pronto soccorso, fuga dei pazienti fuori regione) come “eredità del passato” ancora non formalmente chiusa, perché “manca l’ultimo passaggio tecnico”.
Il punto aperto (e politico): quando finisce davvero il commissariamento?
Secondo la ricostruzione del presidente Occhiuto, per chiudere la fase straordinaria bisogna attendere la validazione definitiva del Piano di rientro da parte degli organismi nazionali. Questo organismo tecnico, ha detto, è stato solo di recente costituito, per cui ora parte il conteggio di trenta giorni.
Formalmente è corretto: se il tavolo tecnico non è attivo, non può approvare nulla. Ma dal punto di vista della percezione pubblica, dopo quindici anni di commissariamento, dire “manca solo l’ultimo atto” e intanto prorogare lo stesso schema commissariale significa riportare i calabresi nella stessa stanza di sempre: quella dell’attesa.
E intanto il quadro resta questo: la rete ospedaliera calabrese è talmente fragile da aver richiesto nel 2025 una dichiarazione di emergenza per accelerare l’apertura dei nuovi ospedali; il debito storico non è sparito, ma si è solo ridotto e riclassificato; le aziende sanitarie restano sotto commissari straordinari nominati dal commissario ad acta per “assicurare continuità gestionale”; i cittadini continuano a spostarsi fuori regione per curarsi, con costi altissimi per la Calabria.
Questa è la fotografia. È importante dirlo chiaramente: tutto ciò è documentato da atti pubblici, dichiarazioni ufficiali e dati istituzionali. Non è opinione.
Perché è notizia (e perché regge legalmente)
È notizia perché: la Calabria è l’unica regione italiana in cui il presidente eletto governa anche come commissario ad acta della sanità, esercitando poteri straordinari sul principale capitolo di spesa pubblica regionale; la narrativa politica parla di “fine del commissariamento”, ma sul piano giuridico-amministrativo il commissariamento è prorogato; le condizioni strutturali che giustificano l’emergenza (debito, carenze ospedaliere, stato di emergenza per la rete ospedaliera) sono ancora lì.
E regge legalmente perché l’articolo non attribuisce condotte illecite a persone specifiche, non formula accuse penali, non afferma dolo. Mette in fila fatti pubblici e atti amministrativi, e pone interrogativi di interesse generale: trasparenza, responsabilità, tempi certi.
Calabria resta in emergenza
La motivazione ufficiale per la nuova (o rinnovata) nomina commissariale è che “serve continuità finché Roma non certifica l’uscita dal Piano di rientro”. Questo è ciò che viene detto pubblicamente dal presidente Occhiuto e dai canali istituzionali: mancano gli ultimi passaggi tecnici e fino a quel momento qualcuno deve avere pieni poteri per firmare.
I dati, però, ci dicono che la Calabria resta in emergenza sanitaria strutturale: bilanci messi in ordine ma ancora appesantiti da oltre un miliardo di debito; ospedali dichiarati in stato di emergenza; aziende sanitarie rette da commissari straordinari nominati dal commissario; livelli di servizio ai cittadini ancora fragili, tanto da spingere migliaia di calabresi ogni anno a curarsi altrove.
È qui lo scarto politico e giornalistico: da una parte la promessa della “sanità restituita ai calabresi”, dall’altra la realtà di una sanità che è formalmente ancora commissariata, sostanzialmente ancora emergenziale e amministrata dallo stesso presidente regionale con poteri speciali.
Finché questo doppio binario resterà così, una domanda continuerà a pesare sul tavolo, più di ogni slogan: la Calabria sta uscendo davvero dal commissariamento – o sta solo imparando a convivere con esso?