Giacomo Mancini e Bettino Craxi: alleati mancati, rivali inevitabili
Dal sostegno iniziale alla rottura politica: il rapporto conflittuale tra due protagonisti del socialismo italiano

Nel luglio del 1976, all'indomani della sconfitta elettorale del Psi, Giacomo Mancini fu tra i principali artefici dell'elezione di Bettino Craxi alla segreteria del partito. Mancini, già segretario socialista e figura di spicco del socialismo meridionale, vedeva in Craxi un leader giovane e promettente, capace di rinnovare il partito e di guidarlo verso una nuova fase politica.
Divergenze ideologiche e gestionali
Tuttavia, con il passare del tempo, emersero profonde divergenze tra i due. Mancini criticava la gestione verticistica e personalistica di Craxi, accusandolo di aver trasformato il PSI in un partito "craxista", allontanandolo dalle sue radici socialiste e democratiche. In particolare, Mancini disapprovava i metodi di finanziamento del partito adottati da Craxi, ritenendoli poco trasparenti e pericolosi per l'integrità del Psi.
La rottura definitiva e le accuse nel processo Mani Pulite
La frattura tra i due divenne insanabile nel 1992, durante l'inchiesta Mani Pulite. Mancini si presentò spontaneamente alla Procura di Milano per testimoniare, dichiarando che, se nel partito vi erano stati finanziamenti illeciti, il segretario non poteva non sapere. Queste dichiarazioni furono decisive nel processo contro Craxi, segnando la fine definitiva del loro rapporto politico e personale.
Eredità e visioni contrapposte del socialismo italiano
Il conflitto tra Mancini e Craxi rappresenta una delle pagine più significative della storia del socialismo italiano. Da un lato, Mancini incarnava una visione del partito radicata nei valori tradizionali del socialismo, con un forte legame al territorio e un'attenzione particolare alle istanze del Mezzogiorno. Dall'altro, Craxi proponeva un modello di partito moderno, centralizzato e orientato al potere, che avrebbe portato il Psi a ricoprire ruoli di primo piano nella politica nazionale.