Emanuele Riboli
Emanuele Riboli

Emanuele Riboli era un diciassettenne di Buguggiate, nel Varesotto, studente e lavoratore part‑time in una carrozzeria di famiglia. Una sera del 14 ottobre 1974, mentre tornava in bicicletta a casa dopo un corso serale a Varese, scomparve nel nulla a pochi minuti dal suo paese. La sua sparizione colpì profondamente una comunità tranquilla e benestante, mai abituata ad atti criminali così efferati.

Una richiesta di riscatto ingente e la tragedia annunciata

I rapitori, identificati in esponenti della ’ndrangheta calabrese, inizialmente chiesero un miliardo di lire per la liberazione del ragazzo: una cifra enorme anche per una famiglia imprenditoriale. In seguito ridussero la richiesta a 800 milioni, ma nonostante gli sforzi economici della famiglia Riboli e la collaborazione delle autorità, Emanuele non fece più ritorno a casa. La tragedia si concluse con la sua morte, consumatasi in forma brutalmente simbolica e disumana.

Una confessione che scioccò il Nord Italia

Solo nel 1990, grazie alla testimonianza del pentito Antonio Zagari — ex vicino di casa dei Riboli — si venne a conoscenza del tragico epilogo. Il ragazzo sarebbe stato avvelenato e il corpo fatto “sparire” servendosi di maiali. Di quel corpo, tuttavia, non si trovò traccia. La rivelazione segnò l’inizio di una consapevolezza sul coinvolgimento delle cosche calabresi anche in Lombardia e del Nord Italia più in generale.

Processi, prescrizioni e scuse formali

Gli esecutori materiali del rapimento furono condannati all’ergastolo in primo grado, ma poi prosciolti in appello perché il reato fu dichiarato prescritto. Durante le fasi processuali successive, il procuratore generale a Milano espresse le sue scuse alla famiglia, definendo il fatto un fallimento doloroso della giustizia nel riconoscere e punire l’atrocità del delitto.

Un caso simbolo di una stagione nera per l’Italia

Il rapimento ed esecuzione di Emanuele Riboli divenne rapidamente emblematico del fenomeno dei sequestri compiuti dalla ’ndrangheta tra gli anni Settanta e Ottanta: un periodo in cui la criminalità organizzata calabrese operava con forza anche al di fuori del proprio territorio, trasformando la paura in uno strumento economico e intimidatorio.

Il ricordo e il valore della memoria

La vicenda di Emanuele continua a essere citata nei percorsi educativi, nei libri dedicati alle vittime innocenti delle mafie e in resoconti giornalistici che intendono mantenere viva la memoria di ciò che fu un orrore inaspettato. Il suo destino, irrisolto e avvolto dal silenzio definitivo del corpo mai ritrovato, ricorda quanto sia fragile la sicurezza civile di fronte alla violenza organizzata.