Manifesto
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Un manifesto affisso questa mattina a Sinopoli, in provincia di Reggio Calabria, ha attirato l’attenzione non solo dei cittadini, ma anche degli osservatori nazionali. A firmarlo sono i familiari di Giuseppe Alvaro, considerato figura di spicco della criminalità organizzata, recentemente deceduto. Il contenuto, dai toni insoliti, comunica che non verrà celebrato alcun funerale religioso in chiesa. Un segnale forte che sembra voler evitare clamori, restrizioni istituzionali e possibili strumentalizzazioni mediatiche.

La scelta della famiglia Alvaro

Nel testo, i familiari dichiarano apertamente la volontà di non procedere con i riti religiosi tradizionali, ringraziando chi vorrà comunque rendere omaggio. «Le forze dell’ordine e la magistratura hanno già fatto il loro lavoro – si legge – chiediamo solo rispetto per il nostro dolore». Il manifesto invita a non trasformare l’evento in un caso mediatico e denuncia ogni limitazione come “inutile e fatta solo per pubblicità”. Una presa di posizione che riflette un contesto ancora teso, a pochi giorni dal caso Savino Pesce, per il quale era stato vietato il funerale pubblico a Rosarno.

Dietro il gesto, una risposta alle istituzioni?

Il gesto della famiglia Alvaro può essere letto come una risposta preventiva alle autorità, dopo i recenti precedenti in cui le prefetture hanno bloccato cerimonie funebri legate a esponenti di clan. Un modo per evitare divieti e contestazioni, ma anche per rivendicare una forma di “dignità privata” rispetto alla morte, al di là delle responsabilità penali del defunto. La notizia, diffusa dal giornalista Klaus Davi, rilancia il dibattito sull’opportunità di regolamentare più chiaramente i funerali di soggetti legati alla criminalità, nel delicato equilibrio tra ordine pubblico e rispetto umano.