Luigi Catanoso
Luigi Catanoso

Un arbitro al centro di un sistema di frodi sportive. È questo il quadro che emerge dall’inchiesta “Penalty”, condotta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e che ha portato all’arresto di cinque persone per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva.

«Dalle attività svolte – ha dichiarato il procuratore Giuseppe Borrelli – non è emerso il diretto coinvolgimento di calciatori, ma un’associazione promossa da un arbitro che aveva nel programma criminoso quello di alterare i risultati di alcune partite, in particolare dei settori giovanili, Primavera e Primavera Under-19, ma che stava programmando di espandere i propri interessi anche sui campionati professionistici».
Al centro del meccanismo, secondo gli inquirenti, c’è Luigi Catanoso, direttore di gara della sezione di Reggio Calabria, considerato promotore e regista del sistema illecito.

Le modalità della frode e l’inchiesta “Penalty”

Le indagini, avviate dopo una segnalazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, sono state condotte dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dai Finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria. L’attività investigativa – ha spiegato il procuratore Borrelli – si è basata su intercettazioni, analisi dei flussi telefonici e coordinamento con la Procura federale sportiva e la Procura di Firenze.
L’obiettivo dell’arbitro Catanoso, secondo la Procura, era chiaro: manipolare le partite per orientarne i risultati e ottenere guadagni illeciti attraverso le scommesse. A finanziarlo erano alcuni soggetti toscani che mettevano a disposizione capitali e conti di gioco intestati a terzi. Questi conti venivano utilizzati per effettuare le puntate e per incassare i profitti derivanti dalle giocate vincenti.

Il match “pilotato” e i primi sospetti

L’indagine ha preso il via da un episodio preciso: un flusso anomalo di scommesse sull’incontro Benevento-Cesena del campionato Primavera 2. La partita, arbitrata proprio da Luigi Catanoso, aveva registrato un volume complessivo di giocate pari a circa 41 mila euro, di cui la grande maggioranza – 219 su 288 – puntava sulla vittoria del Benevento.
Le scommesse risultavano concentrate in diverse località calabresi, tra cui Condofuri, Melito Porto Salvo, Palizzi Marina e Reggio Calabria, indizio che ha fatto scattare l’allarme. Per gli inquirenti, il meccanismo illecito si realizzava attraverso la “corruzione” di arbitri compiacenti, che dirigevano le gare in modo da condizionare gli esiti finali.

Nessun legame con la criminalità organizzata

«Non è stato evidenziato – ha precisato il procuratore Borrelli – un coinvolgimento di organizzazioni criminali più strutturate o con proiezioni internazionali». Il sistema, dunque, agiva in modo autonomo, senza collegamenti diretti con realtà mafiose, ma con logiche pienamente speculative e ben organizzate.
L’inchiesta “Penalty” mette così in luce un nuovo fronte della corruzione sportiva, dove non sono i giocatori ma gli arbitri a pilotare risultati e profitti, tradendo la fiducia di un intero movimento calcistico e minando la credibilità delle competizioni giovanili e professionistiche.

Le prossime tappe dell’indagine

Le misure cautelari eseguite rientrano ancora nella fase preliminare e potranno essere oggetto di impugnazione. Gli indagati restano, dunque, da considerarsi innocenti fino a sentenza definitiva.
Tuttavia, l’operazione segna un punto fermo nella lotta contro la manipolazione sportiva e il business parallelo delle scommesse illegali. La figura dell’arbitro – garante di regolarità e imparzialità – emerge in questa vicenda come il simbolo di un sistema tradito dall’interno, un segnale d’allarme che investe la credibilità dell’intero mondo del calcio italiano.