Sospeso tra cielo e roccia, in bilico su uno sperone che domina la fiumara dell’Amendolea, Roghudi Vecchio è uno dei luoghi più caratteristici  – e meno conosciuti – della Calabria. Abbandonato negli anni ’70 a causa di violente alluvioni, oggi il borgo disabitato conserva un fascino ruvido e magnetico, capace di parlare al viaggiatore con la voce della memoria e delle pietre. Situato nel cuore dell’Aspromonte grecanico, nel territorio metropolitano di Reggio Calabria, è raggiungibile tramite una strada tortuosa ma panoramica, immersa nella natura selvaggia del Parco Nazionale.

Culla di una cultura antica: la Grecanicità

Roghudi non è solo un villaggio abbandonato: è un frammento vivente di Magna Grecia. Qui, fino a pochi decenni fa, si parlava il greco di Calabria, una lingua arcaica che sopravvive ancora in pochi borghi dell’entroterra meridionale. Il paese era un nucleo culturale fondamentale della comunità grecanica, e ancora oggi l’atmosfera che si respira tra le sue case in pietra e le chiesette spoglie sembra rimandare a un tempo antico, sospeso e mistico.

Turismo lento, autentico e fuori dai circuiti di massa

Visitare Roghudi Vecchio significa riscoprire un’altra idea di viaggio: non fatta di attrazioni e selfie, ma di passi lenti, ascolto e contemplazione. Le sue case abbandonate, il selciato invaso dalle erbacce, il vento che rimbomba tra le vie vuote, tutto contribuisce a creare un’esperienza intensa e fuori dal tempo. Un luogo perfetto per chi cerca autenticità, silenzio e bellezza dimenticata, ma anche per chi vuole approfondire la storia profonda e stratificata della Calabria. Roghudi Vecchio è al centro di rinnovate attenzioni da parte di escursionisti, antropologi e viaggiatori curiosi. Ma resta, per fortuna, lontano dalle rotte del turismo di massa. E forse proprio qui risiede il suo incanto: nel raccontare un’identità calabrese silenziosa ma potente, che resiste, nascosta tra i monti.