Baris Boyun
Baris Boyun

Un’organizzazione criminale “pericolosissima”, dotata di un numero elevatissimo di armi, capace di attrarre nuovi affiliati anche attraverso la violazione delle norme sull’immigrazione e con ramificazioni in Italia, Europa e Turchia. Così il gup di Milano Domenico Santoro definisce il gruppo guidato da Baris Boyun, 41 anni, ritenuto uno dei capi della mafia turca, nelle motivazioni della sentenza che a luglio ha portato alla condanna di 15 imputati, fino a 8 anni di reclusione, con rito abbreviato.

L’arresto e i legami con l’Italia

Boyun, oggi sotto processo con rito ordinario davanti alla Corte d’Assise, era stato arrestato nel maggio 2024 assieme ad alcuni sodali nell’ambito di un’inchiesta condotta da Polizia e Guardia di Finanza e coordinata dalla procura di Milano. Già da tempo, però, il suo nome era al centro delle cronache investigative: ricercato dalle autorità di Ankara, era indicato come uno degli uomini più pericolosi e strategici per i traffici criminali turchi.

Negli ultimi mesi, in Italia, altri episodi hanno mostrato la presenza della sua rete: come i due turchi fermati a Viterbo il 3 settembre con armi a disposizione, a poche ore dal passaggio della tradizionale “macchina di Santa Rosa”, circostanza che aveva fatto scattare anche un allarme antiterrorismo.

La Calabria come base operativa

Particolare rilievo nelle carte giudiziarie assume la Calabria, dove Boyun era stato collocato ai domiciliari con braccialetto elettronico in un piccolo centro. Da lì, secondo gli investigatori, avrebbe continuato a coordinare attività criminali di altissimo livello: traffici di droga e armi, anche da guerra, sfruttando canali internazionali e contatti diretti con la Turchia.

Gli inquirenti sostengono che proprio durante la permanenza in Calabria, il boss turco avrebbe mantenuto un ruolo di regia nelle operazioni del suo clan, pianificando persino omicidi e attentati all’estero, come quello fallito in una fabbrica di alluminio vicino a Istanbul. Mai, tuttavia, sarebbero state progettate azioni violente sul territorio italiano.

La mancata estradizione e la detenzione in Italia

La Turchia ha più volte richiesto l’estradizione di Boyun, ma i giudici italiani – fino alla Cassazione – hanno respinto le istanze, mantenendolo detenuto in Italia. Una decisione che sottolinea la delicatezza del caso, anche per il rischio di ritorsioni o di utilizzo del leader turco come pedina in scenari geopolitici più ampi.

Calabria crocevia criminale internazionale

La vicenda conferma, ancora una volta, come la Calabria possa diventare punto di riferimento anche per reti criminali straniere, interessate a sfruttare la posizione geografica e le fragilità del territorio per affari illeciti globali. La presenza di un boss internazionale ai domiciliari in una realtà periferica calabrese solleva interrogativi sulla sicurezza e sull’attrattività della regione per fenomeni criminali sovranazionali.

Il caso Boyun evidenzia dunque non solo la pericolosità della mafia turca e dei suoi legami con organizzazioni europee, ma anche il ruolo delicato che la Calabria continua a rivestire come crocevia dei traffici e osservatorio privilegiato per comprendere le nuove dinamiche della criminalità organizzata internazionale.