Le ceramiche di Squillace
Le ceramiche di Squillace

C’è un piccolo paese della Calabria che, da secoli, parla con le mani. Un luogo in cui la terra, l’acqua, il fuoco e l’aria si incontrano per creare qualcosa di eterno. Squillace, in provincia di Catanzaro, è molto più di un borgo: è un laboratorio a cielo aperto, dove la ceramica non è solo arte, ma memoria viva.

Passeggiando tra i vicoli stretti e profumati di fichi d’India e gelsomino, si sente il rumore inconfondibile del tornio, il tintinnio degli smalti, la voce dei maestri ceramisti che raccontano storie millenarie, incise nei piatti, nei vasi, nelle mattonelle. Ogni bottega è una pagina aperta sul passato.

Una storia che parte da lontano

La tradizione della ceramica a Squillace affonda le sue radici nell’antica Skylletion, colonia greca che già nel VI secolo a.C. produceva vasi e oggetti ornamentali. La lavorazione della ceramica si è evoluta attraverso i secoli, passando per l’epoca bizantina, normanna, aragonese, fino ad arrivare alla scuola artigiana dell’Ottocento, che ha fissato i tratti stilistici riconoscibili ancora oggi.

Simboli geometrici, colori accesi, motivi floreali e zoomorfi: ogni decorazione ha un significato, un’origine, una continuità. La “ceramica graffita” di Squillace è celebre proprio per questi tratti distintivi, incisi prima della cottura, poi decorati con smalti gialli, verdi e bruni che la rendono unica.

Il fuoco dell’identità

La ceramica, qui, non è solo estetica. È appartenenza. Nelle botteghe storiche come in quelle di nuova generazione, la tecnica si tramanda di padre in figlio, di madre in figlia, con un rispetto quasi religioso per la materia. La lavorazione è lunga, faticosa, fatta di passaggi antichi: modellazione dell’argilla locale (rossa, densa, fertile); asciugatura lenta, spesso all’aria di mare; prima cottura nel forno tradizionale; decorazione manuale con pennelli sottili e colori minerali; smaltatura e seconda cottura, che fissa per sempre l’opera.

Ogni pezzo è diverso dall’altro. Ogni imperfezione è testimone dell’uomo dietro l’oggetto, di chi ha impastato, inciso, colorato. Qui la ceramica non è mai seriale, mai ripetibile.

Le botteghe: custodi di un sapere fragile

Squillace oggi ospita numerose botteghe artigiane, alcune attive da oltre cento anni. Famiglie come i De Caro, i Paparo, i Scicchitano, i Megna, ma anche giovani ceramisti che hanno scelto di tornare in Calabria e investire nella bellezza del fare a mano.
Non è facile: il mercato globale ha cambiato tutto. Le produzioni industriali, economiche e impersonali, hanno invaso i negozi. Ma chi entra a Squillace non cerca solo un oggetto: cerca un legame. Un pezzo di mondo fatto a mano.

La ceramica come scuola di vita

Iniziative culturali, laboratori didattici, corsi estivi: a Squillace, la ceramica diventa anche uno strumento di educazione e inclusione.

Nel Museo della Ceramica, ospitato nel Castello Normanno, si possono ammirare opere antiche e contemporanee. Ma soprattutto, si capisce una cosa: la ceramica è fatica, dedizione, tempo. Un valore opposto alla frenesia del consumo.
Fare ceramica significa accettare l’attesa, imparare a rispettare i ritmi della natura, riconoscere che l’errore non è fallimento, ma possibilità.

Il futuro: tradizione che si trasforma

Squillace oggi non è solo memoria. È una fucina creativa in continua evoluzione. Designer, artisti contemporanei, restauratori stanno collaborando con i maestri artigiani per sperimentare nuove forme, nuovi usi, nuovi linguaggi. La ceramica calabrese non è ferma. Vive nel dialogo tra passato e presente.
E se ben sostenuta, può diventare motore di sviluppo locale, attrattore turistico, e bandiera culturale per tutta la regione.

Una bellezza che si tocca

Chi entra in una bottega di Squillace, non entra solo in un negozio. Entra in un tempo sospeso, dove la terra prende forma sotto le dita, dove ogni oggetto racconta una storia.
E forse è proprio questo il senso più profondo della ceramica: modellare il mondo per renderlo un po’ più umano.