Carlo Celadon
Carlo Celadon

Era il 25 gennaio 1988 quando Carlo Celadon, imprenditore vicentino di 22 anni, erede di una delle famiglie più facoltose del Veneto, fu rapito a colpi di kalashnikov sotto casa, mentre era a bordo della sua Porsche. L’agguato avvenne a Monte Berico, nella zona collinare della città, ed ebbe i tratti di un’operazione paramilitare: uomini armati, travestiti da poliziotti, lo prelevarono e lo nascosero in pochi secondi.

La famiglia Celadon era ben nota per la proprietà della Lanerossi, azienda simbolo dell’industria tessile italiana. Per questo, sin da subito, si pensò a un sequestro di stampo mafioso con finalità estorsive.

Il calvario: 831 giorni di prigionia

Carlo fu tenuto prigioniero per oltre due anni: 831 giorni. Durante la lunga prigionia, i rapitori non permisero contatti diretti. Le trattative per il riscatto furono complesse, e la famiglia mantenne un profilo riservatissimo, evitando clamori mediatici, seguendo anche le indicazioni degli investigatori.

Il giovane venne spostato in continuazione tra le montagne dell’Aspromonte e le campagne del Sud Italia, dove fu sorvegliato e tenuto in condizioni estreme.

La liberazione e il silenzio

Carlo Celadon fu liberato il 6 maggio 1990 in provincia di Cosenza, nei pressi di Acri. Era provato ma vivo. Le modalità della liberazione restano tuttora avvolte nel mistero. Nessun blitz, nessuna sparatoria: il giovane venne semplicemente "rilasciato", lasciato libero di camminare fino a trovare soccorso.

Ufficialmente non è mai stato chiarito se un riscatto sia stato pagato. Le indiscrezioni parlano di una cifra milionaria, intorno ai 5 miliardi di lire, ma non vi è mai stata conferma da parte della famiglia.

Le responsabilità della 'ndrangheta

Le indagini portarono a un’unica pista: la ‘ndrangheta. In particolare, furono indicati come mandanti ed esecutori alcuni elementi della cosca dei Gallico e dei Piromalli, operanti tra Gioia Tauro e Palmi, in Calabria. Alcuni arresti e processi seguirono negli anni, ma la catena completa di responsabilità non venne mai del tutto disarticolata.

Il sequestro di Celadon si inserisce in una lunga scia di rapimenti di imprenditori e benestanti del Nord Italia ad opera di cosche calabresi. Un fenomeno che tra gli anni ’70 e ’90 ha rappresentato una fonte di finanziamento fondamentale per le mafie meridionali.

Dopo la prigionia: la scelta del silenzio

Dopo il rilascio, Carlo Celadon ha scelto il riserbo assoluto. Non ha mai voluto apparire pubblicamente né raccontare nei dettagli la sua esperienza. La famiglia, pur collaborando con le forze dell’ordine, ha mantenuto una distanza dai riflettori.

Il caso Celadon rappresenta oggi un simbolo dell’Italia dei misteri: una vicenda che intreccia affari, criminalità organizzata e debolezza istituzionale in un periodo in cui il fenomeno dei sequestri era diventato un’industria del terrore e dell’estorsione.