Giuseppe Biccheri e la nipotina
Giuseppe Biccheri e la nipotina

In una tarda primavera segnata dalla violenza della ‘ndrangheta, Oppido Mamertina divenne teatro di un’ennesima tragica ferita alla memoria. Il giorno 8 maggio 1998, una bambina di 9 anni, Mariangela Ansalone, e suo nonno Giuseppe Biccheri persero la vita in quello che fu definito un agguato mafioso degenerato in strage.

Secondo le ricostruzioni, i killer stavano assalendo alcuni rivali nella piazza di fronte a una macelleria, quando videro passare un’auto che somigliava a quella del bersaglio previsto. In un attimo decisero di aprire il fuoco, travolgendo l’auto in transito in cui viaggiavano Mariangela e il nonno. Il duplice omicidio si inserì in quel periodo nella sanguinosa faida di Oppido Mamertina, uno scontro intestino tra famiglie mafiose che fra il 1992 e il 1998 causò decine di vittime nella zona.

Vittime innocenti, contesto mafioso

La tragedia non si limitò ai due morti sul colpo: nell’agguato furono gravemente feriti la madre di Mariangela, Francesca Biccheri, il fratellino della piccola e la nonna Annunziata Pignataro. La macchina su cui viaggiavano venne colpita da una pioggia di proiettili.
Non era la prima volta che la violenza mafiosa travolge chi non dovrebbe pagarne il prezzo. La dinamica della strage parlò chiaro: un errore tragico ma carico di significato simbolico: l’arma criminale vince quando colpisce i deboli, quando infrange il confine tra il crimine organizzato e la vita quotidiana delle persone oneste.

La faida come sfondo di sangue e paure

Il contesto in cui si consumò la strage è quello della faida di Oppido Mamertina, un conflitto violento tra famiglie mafiose locali (Ferraro-Raccosta da una parte, Polimeni-Bonarrigo dall’altra) che segnò quella comunità con l’ombra del terrore. Nel 1998, proprio nell’ambito di quel confronto, si consumarono non solo rapine e agguati mirati, ma anche drammi come quello di Mariangela e Biccheri: erano “vittime collaterali” di un’azione armata che non conosce regole quando decide di affermare il dominio del crimine.

La strage fu pure oggetto di interventi parlamentari: nella seduta n. 392 della Camera dei Deputati, si citò il fatto come esempio del terribile impatto che la mafia ha su intere comunità e sui diritti fondamentali di chi vive in quei territori.

Memoria, giustizia mancata e responsabilità civile

Anni dopo, il ricordo di Mariangela e di suo nonno rimane vivo nelle istituzioni, nei luoghi della memoria e nella coscienza civile di chi lotta contro le mafie. Il delitto è iscritto nello “schedario delle stragi” della Calabria, ma nessuna condanna definitiva ha restituito giustizia piena alla famiglia.

Tuttavia, la memoria è uno strumento di formazione e resistenza: ricordare significa non lasciare che il sangue diventi cifra di un’“inevitabilità mafiosa”, ma segno di un impegno collettivo a cambiare. Ogni anno, in Oppido Mamertina, viene ricordata Mariangela con eventi di legalità: scuole che declamano poesie, associazioni che portano fiori e la comunità che si stringe attorno al dolore e alla promessa di non dimenticare.