Riceviamo e pubblichiamo il calvario sanitario capitato ad un congiunto di una nostra lettrice.

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Gentile Redazione,
con questa lettera voglio raccontare quanto accaduto a mio padre – e alla nostra famiglia – nel corso di un calvario sanitario iniziato ad aprile. Un’esperienza che ha messo a dura prova la nostra fiducia nel sistema sanitario pubblico, tra ritardi, errori medici e silenzi.

Il primo ricovero e la diagnosi iniziale

Tutto ha avuto inizio la notte del 15 aprile, quando mio padre ha iniziato a stare male: forti mal di testa, difficoltà respiratorie e spossatezza. Dopo alcuni giorni di malessere, abbiamo deciso di portarlo al pronto soccorso, dove è stato ricoverato e tenuto sotto monitoraggio cardiaco per due giorni. Al momento delle dimissioni, i medici hanno fissato direttamente una visita cardiologica, comunicandoci che mio padre aveva un problema al cuore.

Il pacemaker e il primo intervento

Pochi giorni dopo, ci siamo presentati alla visita con la dottoressa Alfa, la quale, dopo alcuni esami, ha deciso di applicare un Holter cardiaco di 24 ore. Rientrati per la rimozione, siamo stati richiamati per una consulenza: ci è stato comunicato che il cuore di mio padre rallentava e che sarebbe stato necessario impiantare un pacemaker. L’intervento è stato eseguito all’ospedale di Lamezia Terme, dalla stessa dottoressa Alfa, sotto la supervisione del primario, il dottor Beta.

Le complicazioni e la diagnosi errata

Purtroppo, dopo l’intervento, le condizioni di mio padre non sono migliorate. Nonostante le dimissioni e una terapia prescritta, continuava a stare male. Cinque giorni dopo, a Soverato, la dottoressa ha rimosso i punti e ci ha nuovamente mandati a casa. Ma dopo soli due giorni, ci ha contattati d’urgenza: ci ha comunicato che il catetere del pacemaker era stato posizionato in modo errato e che sarebbe servito un secondo intervento.

Il trasferimento in Utic e l’attesa

Tornati a Lamezia, invece di essere ricoverato in cardiologia, è stato trasferito in UTIC, un reparto inaccessibile ai familiari. Il giorno dell’intervento ci siamo presentati per vederlo, ma con grande sorpresa abbiamo scoperto che non era in lista operatoria. Abbiamo chiesto spiegazioni al primario, che ci ha comunicato che il catetere era stato inserito nel ventricolo sbagliato, causando la perforazione di un’arteria. Mancando il reparto di cardiochirurgia, intervenire sarebbe stato troppo rischioso, ma anche non farlo avrebbe potuto causare un ictus.

La lunga attesa e il ritardo nel trasferimento

A quel punto abbiamo richiesto il trasferimento in una struttura più attrezzata, ma per giorni nulla si è mosso. Mio padre è rimasto in Utic per quasi un mese. Le visite erano rarissime e ogni volta che cercavamo risposte, ci veniva detto che bisognava attendere. Alla fine, ci siamo rivolti autonomamente all’ospedale di Germaneto, dove la dottoressa Gamma ci ha confermato che da oltre dieci giorni attendeva la richiesta di trasferimento, mai inviata da Lamezia.

L’intervento correttivo e la ripresa

Solo dopo aver sollecitato direttamente il primario e fatto presente il nominativo della collega di Germaneto, il trasferimento è finalmente avvenuto. A Germaneto siamo stati accolti con chiarezza e competenza: il dottor Lamba ha ricostruito in modo dettagliato la situazione, spiegandoci che il dispositivo impiantato non era un pacemaker ma un defibrillatore – non necessario nel caso di mio padre. Il giorno successivo è stato rimosso il dispositivo errato grazie ad un secondo intervento correttivo. Dopo alcuni giorni di osservazione, le condizioni di mio padre sono migliorate, tanto da poter essere dimesso.

Conseguenze permanenti

Oggi, purtroppo, è costretto ad assumere farmaci per tutta la vita a causa di questa lunga odissea. Tuttavia, per fortuna, si sta lentamente riprendendo.

Motivazione della condivisione

Condivido questa esperienza perché credo sia giusto sollevare attenzione su una vicenda che non dovrebbe accadere. Ci sono state mancanze chiare: comunicazioni inesistenti tra ospedali, errori nell’impianto, assenza di trasparenza con i familiari, gravi ritardi nel trasferimento. Non vogliamo puntare il dito, ma chiedere che episodi simili non accadano più. I pazienti e le loro famiglie hanno diritto a cura, competenza e rispetto.