Droga, soldi e silenzi: L’impero dei Serraino nel Nord Italia
Una delle cosche più spietate della 'Ndrangheta e l'infiltrazione a Milano

Negli anni ’60, Milano non era solo la capitale economica d’Italia: diventava, silenziosamente, anche uno snodo strategico per le mafie. In mezzo a questo cambiamento oscuro, si muovevano con precisione chirurgica i Serraino, una delle cosche più spietate e organizzate della ’Ndrangheta calabrese. Mentre la città si trasformava, anche la criminalità evolveva. E i Serraino furono tra i primi a capirlo: non bastava più il controllo del territorio, serviva infiltrarsi nel tessuto economico e istituzionale. Così fecero. E con risultati devastanti.
Milano come base operativa: la cocaina in cravatta
Quando i Serraino decisero di espandersi al Nord, non portarono con sé solo uomini armati e codici d’onore mafiosi. Portarono soprattutto un piano: trasformare Milano nella capitale della cocaina. E ci riuscirono. In pochi anni, la cosca strinse alleanze strategiche con altri gruppi criminali – come i Di Giovine, i Musolino e i Piromalli – creando una rete mafiosa che dominava non solo Milano, ma gran parte del Nord Italia.
Secondo le inchieste, si parla di 70 chili di cocaina a settimana immessi sul mercato milanese. Numeri da cartello sudamericano. E dietro questi numeri c’erano appalti, soldi, imprese “pulite” che nascondevano il volto lurido del riciclaggio. Il Nord era diventato terreno fertile per una mafia che non sparava più solo nei vicoli calabresi, ma firmava contratti nei quartieri borghesi della metropoli.
Riciclaggio e corruzione: L’altra faccia del potere
La potenza dei Serraino non si esauriva nel traffico di droga. Il vero colpo di genio – se così possiamo chiamarlo – fu quello di radicarsi nel mondo economico e imprenditoriale lombardo. Nascevano aziende-fantasma, cooperative, ditte di costruzione, tutte funzionali a un unico scopo: ripulire montagne di denaro sporco. Ed è proprio qui che la cosca mostrava il suo volto più pericoloso: non il mafioso col mitra, ma il faccendiere in giacca e cravatta, capace di manipolare, corrompere, infiltrarsi.
La Lombardia, e Milano in particolare, divennero la nuova “terra promessa”. E non era un’esagerazione: attraverso il controllo di attività economiche e l’intimidazione sistematica, i Serraino riuscirono a imporsi anche in settori considerati legali, dove il confine tra crimine e business diventava sempre più sottile.
Estorsioni, armi e silenzio
Il traffico di droga era solo la punta dell’iceberg. Sotto, un impero basato su estorsioni sistematiche, traffico di armi, e soprattutto sul silenzio. Un silenzio che ha coperto per decenni la loro espansione, protetto da una rete di complicità che andava dalla piccola impresa fino ai corridoi della politica locale.
Il vero potere dei Serraino non stava nella forza bruta, ma nella capacità di corrodere le istituzioni da dentro. Inchieste, arresti, processi non sono bastati – finora – a scardinare del tutto un sistema che ha saputo adattarsi, mimetizzarsi, evolvere. Oggi, mentre si celebrano le operazioni antimafia, la domanda resta: quante di quelle radici sono ancora vive e invisibili sotto il cemento delle città del Nord?
Una mafia moderna, ma antica nell'essenza
La presenza dei Serraino nel Nord Italia è l’emblema di una mafia che ha cambiato pelle, ma non anima. Una mafia che non ha più bisogno di colpire platealmente per imporsi, perché lo fa tramite contratti, appalti, finti manager e veri corrotti. E Milano, da capitale della finanza, rischia di essere anche il centro nevralgico di un potere criminale che ha imparato a vestirsi bene, a parlare il linguaggio degli affari, a firmare con una penna ciò che una volta si imponeva con una pistola.
I Serraino sono lì a ricordarcelo: la mafia non è un fenomeno del Sud. È un problema nazionale. E quando si nasconde tra i grattacieli e i bilanci societari, è ancora più difficile da estirpare.