Antonio Valenti, impiegato vittima della ‘ndrangheta: la storia di un sacrificio silenzioso
Ucciso nel 1991 per essersi rifiutato di piegarsi alle logiche mafiose: un esempio di coraggio rimasto nella memoria calabrese
Antonio Valenti, nato nel 1961 a Sant’Ilario in provincia di Reggio Calabria, lavorava come contabile per la ditta “Gallo Bitumi”. La sua azienda era oggetto di ripetute richieste estorsive da parte della ‘ndrangheta, che pretendeva pagamenti, complicità o almeno tacita acquiescenza dai suoi titolari. Valenti, figura onesta e dedita al lavoro, non volle prendere parte né agevolare queste pressioni.
L'agguato e la morte
La sera dell’11 marzo 1991, mentre usciva dal luogo di lavoro, Valenti fu vittima di un agguato: colpito da colpi d’arma da fuoco all’addome e al fianco sinistro. Ferito gravemente, fu trasportato d’urgenza in ospedale, dove morì il giorno successivo, il 12 marzo. L’omicidio venne interpretato come una ritorsione verso i suoi datori di lavoro, che si erano ribellati alle richieste di pizzo.
Il contesto mafioso e le implicazioni
Il suo delitto non fu un episodio isolato ma fece parte di un contesto in cui imprenditori calabresi venivano terrorizzati e costretti alla sottomissione. Uccidere un dipendente “leale” rappresentava anche un messaggio intimidatorio: chiunque nell’azienda o altrove poteva essere colpito se non si fosse piegato.
Il nome di Valenti è oggi ricordato tra le vittime innocenti della mafia, simbolo di chi ha pagato con la vita la volontà di non compromettersi.
Il lascito e la memoria
Nonostante siano passati decenni, non si è mai giunti a una piena giustizia per Antonio Valenti. Il suo sacrificio, tuttavia, continua a vivere nelle storie di testimonianza e nell’impegno civile delle associazioni antimafia. Il suo nome viene evocato come esempio di integrità di fronte al crimine e alla sopraffazione.
Ogni anno il 12 marzo, in Calabria, si ricordano Valenti e altri come lui: non solo per commemorare una vittima, ma per rinnovare l’impegno contro la cultura mafiosa e per sostenere il coraggio di chi oggi denuncia le ingiustizie.
La storia di Antonio Valenti è un monito severo: quando si sceglie di non chinare la testa, il prezzo può essere altissimo — ma il ricordo e la dignità restano.