Filippo Salsone
Filippo Salsone

Filippo Salsone, nato a Brancaleone il 28 maggio 1942, ha dedicato la sua vita al servizio penitenziario, arrivando al grado di Maresciallo Capo del Corpo degli Agenti di Custodia. Il 7 febbraio 1986, rientrando a casa con la famiglia, venne attaccato in un agguato teso nei pressi del suo paese d’origine: un vero e proprio attentato mafioso che ne causò la morte. Il suo impegno nella direzione delle squadre che operavano all’interno del carcere di Cosenza e la ferma opposizione al potere delle cosche lo resero un bersaglio in un contesto segnato dalla violenza della ’ndrangheta.

La dinamica dell’omicidio e il contesto criminale

La sera del 7 febbraio, mentre stava rientrando presso l’abitazione dei genitori, Salsone venne raggiunto da una raffica di colpi d’arma da fuoco che uccisero lui e ferirono la figlia minorenne al suo fianco. L’agguato venne compiuto in località “Cutrucchio”, nei pressi di Careri, e la modalità dell’azione è indicativa del modus operandi mafioso: precisione nell’attacco, assenza di vie di fuga, volontà di dare un segnale forte a chi – come Salsone – rappresentava l’ordine e la giustizia.

Le indagini successive hanno fatto emergere come il maresciallo fosse considerato “sgradito” all’interno dell’istituto penitenziario a causa della sua fermezza nel far applicare le regole e nel contrastare la contaminazione mafiosa all’interno delle mura del carcere. È stato anche evidenziato che il delitto si inserisce in una fase di forte conflitto tra cosche calabresi, dove la scelta di colpire figure dello Stato divenne uno strumento di affermazione del potere mafioso.

Una verità ancora mancante e il titolo di vittima del dovere

Segue a distanza di decenni la ferita dell’omicidio di Salsone, senza che – al termine di tutti questi anni – ci sia stata una sentenza definitiva che individui i mandanti e gli esecutori. Nonostante la presenza di un pentito che ha indicato la responsabilità di un boss calabrese, la giustizia non ha ancora ricomposto del tutto il quadro dell’assassinio.

Lo Stato ha però riconosciuto il maresciallo come vittima del dovere, onorando il sacrificio di un uomo che ha dato la sua vita per il servizio pubblico e per la legalità. Tuttavia, la mancanza di una conclusione giudiziaria pienamente soddisfacente continua a rappresentare un motivo di dolore e di attesa per la famiglia e per la comunità.

Il lascito di Salsone e l’importanza della memoria civica

L’assassinio di Filippo Salsone non è soltanto un fatto di cronaca nera ma un pezzo centrale della storia calabrese: testimonia come il potere mafioso abbia saputo colpire anche simboli dello Stato credibili e attivi. Il suo impegno e la sua fermezza restano un richiamo a non abbassare la guardia e a promuovere una cultura della giustizia, della responsabilità e della comunità.

Ricordare Salsone significa valorare la scelta di una vita al servizio, riconoscere il prezzo che certe persone hanno pagato e rinnovare l’impegno a non lasciare sola la memoria del sacrificio. Perché solo così la perdita può diventare motore di cambiamento, e la figura del maresciallo capace di rappresentare una speranza concreta per le nuove generazioni.