In Calabria, nel 2026, il tema del lavoro sottopagato continua ad essere una ferita aperta. Nonostante decenni di battaglie sindacali, normative europee e investimenti pubblici, ancora oggi migliaia di lavoratori si trovano a percepire salari che non garantiscono condizioni di vita dignitose. In troppi casi, si parla di stipendi che si aggirano sotto i mille euro al mese, una soglia insufficiente per affrontare le spese quotidiane in contesti urbani come Cosenza, Catanzaro o Reggio Calabria.

Un paradosso del XXI secolo

È un paradosso: nel 2026, in una regione che vive al tempo stesso di tradizioni antiche e di aspirazioni moderne, è ancora possibile che lavori svolti con dedizione e professionalità vengano remunerati con cifre che non bastano a coprire affitto, trasporti, alimentari e bisogni essenziali. In una città come Cosenza, dove il costo della vita è cresciuto in modo costante negli ultimi anni, mantenersi con meno di mille euro mensili è praticamente impossibile.

Lavori essenziali, salari minimi: un problema strutturale

Sono molte le categorie interessate: dai servizi alla persona ai lavoratori nei call center, dai comparti del turismo alla ristorazione, dalle cooperative sociali ai settori della logistica e del commercio. In alcuni casi, si assiste a forme di pseudo-contrattualizzazione, con collaborazioni atipiche che di fatto limitano la tutela dei diritti lavorativi e sociali.

Molti lavoratori raccontano una realtà fatta di ritmi estenuanti, mansioni ripetitive e salari che non seguono alcun criterio di adeguamento rispetto all’inflazione o ai costi reali della vita. Una situazione che non riguarda soltanto chi è in forza nel mercato del lavoro da pochi anni, ma anche persone con esperienza, competenze e professionalità acquisite nel tempo.

L’impatto sui giovani e sulle famiglie

Le conseguenze di questo fenomeno sono profonde. I giovani, specialmente quelli con titoli di studio, spesso guardano oltre i confini regionali o nazionali per cercare condizioni lavorative migliori. La Calabria, che ha un patrimonio culturale e ambientale straordinario, vede così crescere l’emorragia di talenti, con un impatto negativo su sviluppo, innovazione e futuro demografico.

Per molte famiglie calabresi, lo stipendio basso significa dover scegliere tra spese essenziali, rinunciare a servizi, o dipendere da più percettori di reddito per arrivare a fine mese. In questo contesto, la dignità del lavoro viene messa a dura prova ogni giorno.

Sindacati, istituzioni e imprese: quali responsabilità?

Le organizzazioni sindacali da anni denunciano la persistenza di salari inadeguati e chiedono interventi concreti e tempestivi. Le istituzioni locali e nazionali sono chiamate ad assumersi responsabilità precise: promuovere politiche attive per la retribuzione minima, incentivare contratti collettivi territoriali adeguati, rafforzare i controlli sull’applicazione delle normative contrattuali e sanzionare comportamenti irregolari.

Anche il mondo delle imprese deve farsi carico di un cambiamento di prospettiva. Non si può ignorare che una remunerazione equa non sia solo un diritto del lavoratore, ma anche un elemento fondamentale di stabilità sociale e competitività economica.

Un appello per il futuro

In una regione che ha tanto da offrire, non è più tollerabile che il mercato del lavoro conviva con forme di sfruttamento, salari sotto la soglia di dignità e condizioni che costringono molte persone a vivere in continuo stato di precarietà. Occorre un cambio di rotta deciso, con investimenti reali in formazione, innovazione e politiche di valorizzazione del lavoro.

Se il lavoro è la base su cui costruire una società equa e coesa, allora è giunto il momento di rendere effettivo un principio elementare: nessuno dovrebbe vivere con meno di quanto è necessario per vivere dignitosamente. In Calabria, come nel resto d’Italia, il futuro non può prescindere da un mercato del lavoro giusto, trasparente e sostenibile.