Matteo Salvini arriva in Calabria, a Rende, per sostenere un candidato sindaco. Ma non rilascia nemmeno una dichiarazione alla stampa. Parla sul palco, saluta, stringe mani, sorride alle telecamere. Poi, se ne va. Nessuna domanda, nessuna risposta. Nessuna voce, se non la sua — e solo quando decide lui.

È lecito domandarsi: perché?

Un ministro, vicepresidente del Consiglio, leader di un partito in piena campagna elettorale, viene in Calabria per “sponsorizzare” un candidato — e sceglie di non parlare ai giornalisti? Una mossa insolita, se non discutibile. Perché nel resto d’Italia, Salvini la voce ce la mette. Eccome se ce la mette.
Rilascia dichiarazioni, fa dirette, risponde, attacca, rilancia. A Rende no. A Rende ha preferito, forse, evitare il contraddittorio.

Avrà scelto il monologo per evitare di essere interrotto?
Temeva domande scomode sulla 106 Jonica, che da decenni i calabresi sentono promettere e mai vedere realizzata?
O forse — si potrebbe ipotizzare — aveva già in mente che, a fine mandato, più che creare lavoro, potrebbe lasciarne per strada a migliaia?

Una presenza senza sostanza

La visita di Salvini a Rende doveva essere un’occasione di rilancio, una passerella politica per sostenere la candidatura di Marco Ghionna. Ma alla fine, ha lasciato più ombre che luce.

La Calabria è una terra che da anni chiede ascolto, infrastrutture, sviluppo. È la terra della Statale 106, la “strada della morte”, teatro di incidenti e funerali, più che di progresso. Salvini lo sa. E infatti, proprio a Rende, ha detto: “Voglio lasciare migliaia di posti di lavoro alla Calabria”.

Bene. Ma come? Con quali soldi? In quali tempi? Quali appalti? Quali priorità?
Domande che nessuno ha potuto fargli. Perché non ha concesso interviste.

In una regione abituata a promesse farlocche, a proclami senza seguito, la presenza di un ministro dovrebbe portare chiarezza. Dettagli. Risposte.
E invece a Rende, Salvini ha scelto il silenzio. Non un silenzio istituzionale, ma un silenzio strategico.

Il doppio binario del leader: parlare altrove, tacere in Calabria

Salvini è un politico abituato alla comunicazione diretta, istintiva, continua. Lo abbiamo visto in centinaia di comizi, conferenze stampa, interviste ai margini di mercati e fiere.
Perché allora proprio a Rende, in piena campagna elettorale, non ha dato spazio al dialogo?

Forse perché in Calabria non basta più il “vedrete”, il “faremo”, il “ci sto lavorando”.
Qui la gente ha memoria lunga. Ha già sentito tutto. E ora vuole capire. Pretende. Chiede concretezza.

E allora forse il silenzio è diventato un escamotage, un modo per non esporsi troppo, per non promettere l’impossibile, per evitare titoli e contraddizioni.
O peggio: per non parlare del nulla.

Un'occasione persa, per il candidato e per la Calabria

In tutto questo, emerge anche un altro elemento: la scelta di non valorizzare il candidato.
Perché in ogni altro territorio, quando un leader nazionale scende in campo per una campagna locale, ci mette oltre la faccia anche la voce.
Parla del programma. Sostiene le idee del candidato. Spiega perché quel nome è giusto per la città.
A Rende no.
Nessun affondo, nessuna visione.
Una presenza senza costruzione. Una foto da social, ma niente contenuto politico.

Perché un ministro viene, si fa vedere, ma non dice nulla su come cambierà la vita dei cittadini di quella città?
È questo il modo di “rafforzare il territorio”?

In Calabria non servono ospitate. Servono risposte

Il Sud non è più disposto ad accontentarsi di slogan, comizi e selfie. Il Sud — e la Calabria in particolare — non ha bisogno di presenze fugaci, ma di presenze responsabili.
Chi governa deve parlare. Deve esporsi. Deve spiegare.
Non basta più un palco, un microfono e uno stendardo. Non nel 2025.
E non dopo decenni di parole lasciate a metà.

Salvini a Rende ha scelto di non parlare.
Ma il suo silenzio fa rumore.
Perché in politica, anche il non dire è una dichiarazione.
E a volte, è la peggiore.