La società immobile: tra sopravvivenza, complicità e resistenza silenziosa
Lì si consuma la grande sconfitta collettiva: l’adattamento

In Calabria, la vera partita non si gioca solo tra Stato e 'ndrangheta, tra legalità e criminalità. Si gioca soprattutto dentro la società. In quella zona grigia dove convivono paura, rassegnazione, convenienza e, a volte, anche coraggio. È lì che si misura la forza reale di un sistema. Ed è lì che, da troppo tempo, si consuma la grande sconfitta collettiva: l’adattamento. Il calabrese, spesso, non si schiera. Sopravvive. Tira avanti, galleggia, si arrangia. Non perché non veda o non capisca. Ma perché ha imparato, generazione dopo generazione, che denunciare costa, ribellarsi espone, esporsi isola. E allora si sceglie il silenzio, non sempre per omertà, ma per stanchezza. Perché è più semplice tacere che combattere un mostro che sembra invincibile.
L'adattamento alimenta il sistema
Il problema è che questo atteggiamento, apparentemente passivo, alimenta il sistema. Lo normalizza. Lo fa sembrare eterno. La 'ndrangheta prospera non solo dove incute timore, ma dove trova spazi lasciati vuoti da una società civile debole, frammentata, spesso piegata al quotidiano. Il cittadino, abbandonato dalle istituzioni e tradito dalla politica, si arrangia come può. Cerca scorciatoie, si affida al “favore”, si adatta a logiche clientelari non per convinzione, ma per necessità. In Calabria, la legalità è spesso un lusso. E l’illegalità una scorciatoia tollerata. Ma sarebbe ingiusto fermarsi qui. Perché dentro questa società che sembra immobile, esiste anche un’altra Calabria. Invisibile, ma presente. Quella fatta di cittadini che resistono in silenzio. Di insegnanti che educano senza mezzi. Di volontari che suppliscono all’assenza dello Stato. Di imprenditori che dicono no al pizzo. Di giovani che scelgono di restare, nonostante tutto. È una resistenza che non fa rumore, che non va in prima pagina, ma che tiene accesa una speranza.
Un equilibrio instabile
La verità è che la società calabrese non è solo vittima, né solo complice. È un campo di battaglia. Dentro lo stesso quartiere, la stessa famiglia, la stessa scuola, convivono il conformismo e la ribellione, il disincanto e la dignità. È un equilibrio instabile, una lotta quotidiana tra l’accettazione e il cambiamento. Per questo, ogni vera riforma deve partire da qui: da un patto sociale nuovo. Non basta cambiare le leggi o arrestare i boss. Serve ricostruire il legame tra cittadini e Stato, dare fiducia a chi ha perso fiducia, offrire alternative a chi oggi non ne ha. Finché la legalità non sarà percepita come conveniente, finché denunciare resterà un atto isolato e rischioso, il cambiamento resterà una promessa vuota.
C'è bisogno di normalità
La Calabria non ha bisogno di eroi. Ha bisogno di normalità. Di diritti garantiti. Di istituzioni presenti. Di lavoro vero, scuole sicure, sanità accessibile. Solo così si spezza il ricatto sociale della criminalità. Solo così si restituisce ai calabresi la libertà di scegliere senza paura. Perché la verità è che la maggioranza delle persone non vuole convivere con la mafia. Vuole vivere, semplicemente. Ma finché vivere onestamente significherà perdere in partenza, il sistema continuerà a replicarsi.
Cambiare la Calabria significa cambiare la quotidianità. Portare lo Stato dove oggi non arriva. E accompagnare ogni cittadino fuori dalla logica dell’adattamento verso quella della partecipazione. È un lavoro lento, profondo, faticoso. Ma è l’unico che può restituire a questa terra il futuro che merita.