Antonino Fava
Antonino Fava

La sera del 18 gennaio 1994, lungo l’autostrada A3 in prossimità dello svincolo di Scilla, gli appuntati scelti Antonino Fava e Vincenzo Garofalo — in servizio presso il Nucleo Radiomobile di Palmi — furono vittime di un agguato mafioso. A bordo di un’Alfa 75, impegnati in un normale controllo, notarono un'auto sospetta che li affiancò con gli abbaglianti accesi. L’autovettura venne segnalata alla centrale, ma pochi istanti dopo partì una raffica di mitragliatrice M12 che colpì la vettura: Fava e Garofalo non ebbero scampo, morirono sul colpo, e l’auto finì contro il guardrail. In quell’attimo la violenza mafiosa non colpì soltanto due militari, ma lo Stato stesso.

Un omicidio che segnò una cesura nella storia della criminalità

Quel duplice omicidio rappresentò una svolta: per la prima volta la violenza mafiosa calabrese scelse di puntare su un’azione eclatante contro rappresentanti delle Forze dell’Ordine, in piena autostrada. Quell’agguato non fu un fatto isolato, ma si inseriva in un contesto più ampio: le indagini successive hanno rivelato che l’omicidio di Fava e Garofalo faceva parte di una strategia stragista in cui la 'Ndrangheta e Cosa Nostra avrebbero cooperato per destabilizzare lo Stato.

Giustizia, processi e condanne (e le recenti novità)

Le indagini portarono all’arresto di alcuni killer materiali: tra questi Giuseppe Calabrò e Consolato Villani, ritenuti responsabili dell’omicidio. La giustizia riconobbe come mandanti del duplice delitto Rocco Santo Filippone — esponente della cosca Piromalli — e Giuseppe Graviano, boss siciliano, nell’ambito del processo noto come “’Ndrangheta stragista”. Tuttavia, la sentenza che condannava i mandanti all’ergastolo è stata annullata dalla Corte di Cassazione a fine 2024, riaprendo un capitolo doloroso e controverso sulla certezza della pena, sul ruolo degli apparati deviati e sulle reali responsabilità dietro gli omicidi di quegli anni.

Memoria e commemorazioni: il dovere di non dimenticare

Per decenni, ogni 18 gennaio, la Calabria — e l’Italia — ricordano il sacrificio di Fava e Garofalo. In varie cerimonie vengono deposte corone al cippo commemorativo sull’autostrada, proprio nel punto dell’agguato, e nelle caserme e scuole delle Forze dell’Ordine si tengono manifestazioni di memoria. Il loro sacrificio resta un monito contro l’omertà e la violenza, un richiamo alla responsabilità civile e alla difesa delle istituzioni.

Un monito ancora attuale per la Calabria e per lo Stato

La vicenda di Fava e Garofalo, a distanza di decenni, conserva una drammatica attualità. L’omicidio non rappresentò solo un attacco a due uomini in divisa, ma una sfida lanciata allo Stato e alla società intera. Le inchieste successive mostrarono che la strategia mafiosa intendeva colpire non solo con delitti isolati, ma con attentati pianificati e sistemici. Oggi, il processo che avrebbe dovuto chiudere quella ferita è riaperto: ma la memoria resta, e la domanda continua a essere la stessa — perché chi ha attentato alla democrazia paghi fino in fondo.