Lucio Ferrami
Lucio Ferrami

Lucio Ferrami era un giovane imprenditore di 32 anni, originario di Crema ma trasferitosi in Calabria insieme alla moglie Maria Avolio. Aveva avviato a Guardia Piemontese una piccola azienda di materiali edili, “Ferrami ceramiche”, che ben presto sollevò l’interesse della cosca locale guidata da Franco Muto, soprannominato il “re del pesce” dell’Alto Tirreno .

La denuncia e l’agguato

Quando arrivarono le richieste estorsive, Ferrami decise di rifiutare e di denunciare gli estorsori alle forze dell’ordine, fornendo nomi e cognomi. Un gesto straordinariamente coraggioso – e rivoluzionario in un territorio segnato da omertà – che purtroppo non ottenne alcuna protezione da parte delle istituzioni . Il 27 ottobre 1981, mentre stava rientrando a casa in auto insieme alla moglie, fu colpito da una raffica di colpi sparati da killer nascosti sulla strada in Contrada Zaccani, ad Acquappesa, morendo sul colpo. La moglie sopravvisse poiché lui usò il corpo come scudo umano .

Il processo e le ombre sulla giustizia

Inizialmente furono individuati e condannati all’ergastolo Franco Muto, suo figlio Luigi e altri complici. Tuttavia, in appello tutti furono assolti “con formula dubitativa”, un’ombra pesante su un sistema giudiziario incapace di confermare le condanne . Nel 1988 la vedova Maria Avolio denunciò addirittura la Procura della Repubblica di Paola per omissione di atti d’ufficio, accusandola di non aver dato seguito alle denunce e di non aver preso alcuna misura per tutelare suo marito .

La famiglia e il ricordo di una tragedia

Ferrami lasciò la moglie e due bambini di 9 e 3 anni, Pierluigi e Paolo, testimoni silenziosi di una tragedia che segnò per sempre la loro vita . Nel tempo, Pierluigi ha ricordato come quella sera l’orologio si fosse fermato alle 19:15: “ho scelto di restare qui per lottare e resistere in suo nome” .

Un’eredità che diventa impegno civile

Anni dopo, il sacrificio di Ferrami ha portato alla nascita di un’associazione antiracket a Cosenza, intitolata a lui. Ogni anno, il 27 ottobre, la comunità si riunisce ad Acquappesa per deporre una corona nel luogo dell’agguato, come testimonianza di memoria e di lotta attiva contro le estorsioni .