Pasquale Bonavota, il boss latitante catturato dopo cinque anni di fuga
Dalla leadership del clan calabrese all’arresto in cattedrale, il cammino criminale di un capobastone della ‘ndrangheta

La cattura di Pasquale Bonavota rappresenta un duro colpo allo scheletro criminale della cosca, rafforzando lo Stato nell'ottica della lotta alla mafia e dell'affermazione del diritto. Dalla sua fuga a oggi, il suo arresto ha segnato una svolta sia dal punto di vista operativo sia psicologico: dimostra che nessuno è al di sopra della legge.
Ascendenza criminale e ruolo di vertice
Pasquale Bonavota nasce nel 1974 a Vibo Valentia, figlio del capostipite del clan Bonavota, che ne ha trasmesso il controllo. Attivo fin dall’adolescenza, si è imposto durante la violenta faida di Sant’Onofrio nel 1991. Considerato il capo‑società della cosca, ha assunto un ruolo decisionale fondamentale nella rete mafiosa che si estende dalla Calabria fino al Piemonte e oltre.
Fuga, latitanza e condanne
Condannato in primo grado a ergastolo per associazione mafiosa e omicidi, è stato inserito dal 2018 nell’elenco dei latitanti più pericolosi d’Italia. La sua fuga è durata quasi cinque anni, durante i quali ha evaso il controllo dello Stato tramite una rete di coperture e documenti falsi.
Cattura inaspettata in cattedrale
Il 27 aprile 2023 la latitanza si è interrotta grazie all’intervento dei Carabinieri: Bonavota è stato fermato all’uscita da una cattedrale di Genova, in possesso di un documento falso. La cattura ha concluso un inseguimento che aveva mobilitato le forze dell’ordine su scala nazionale.
Espansione territoriale del clan
Il clan Bonavota non origina solo in Calabria: negli anni ha impiantato ramificazioni in Piemonte (in particolare a Torino e Carmagnola) e nella capitale. Le attività operative vanno dal traffico di droga all’estorsione, usura e riciclaggio, ma anche infiltrazioni nel tessuto economico-legale attraverso società di comodo.
Il carcere e il 41-bis
Dopo l’arresto, Bonavota è stato trasferito in un carcere di massima sicurezza, dove è attualmente detenuto in regime di 41‑bis, previsto per i reati più gravi legati alla mafia. La custodia rigorosa mira a interrompere ogni contatto tra lui e la cosca.