Cosenza, fine di un incubo per una donna vittima di maltrattamenti: condanna definitiva per l’ex marito
La vittima ha raccontato con coerenza e senza contraddizioni i numerosi episodi, definendo il marito “controllante, ossessivo e denigratorio”

Dopo anni di violenze, umiliazioni e silenzi, è arrivata la parola definitiva della giustizia: la Corte d’Appello di Catanzaro ha condannato in via definitiva S.P., 52 anni, a 3 anni e 8 mesi di reclusione per maltrattamenti e violenza sessuale aggravata nei confronti dell’ex moglie, S.N.. I fatti, avvenuti tra il 2007 e il 2014 a Cosenza, sono stati definiti dai giudici come una reiterata e sistematica condotta offensiva e vessatoria, consumata anche in presenza della figlia minore. La Corte ha confermato inoltre l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e le pene accessorie già previste in primo grado, oltre al risarcimento danni e al rimborso delle spese processuali per oltre 1.891 euro.
Le motivazioni della sentenza: “Testimonianza credibile, costante e coerente”
Nelle motivazioni si legge che la testimonianza della donna, “chiara, spontanea, coerente e priva di contraddizioni”, ha permesso di accertare la fondatezza delle accuse. S.N. ha raccontato come già dopo il matrimonio e la nascita della figlia il rapporto fosse degenerato: isolamento, controllo, continue critiche, insulti sessisti e violenze. Tra le frasi riportate: “la donna è un contenitore per partorire, il seme viene dal maschio”.
Il calvario: controllo, insulti, abusi
La ricostruzione processuale restituisce l'immagine di un matrimonio segnato da umiliazioni, minacce, isolamento e violenze sessuali. La vittima ha raccontato con coerenza e senza contraddizioni i numerosi episodi, definendo il marito “controllante, ossessivo e denigratorio”. In aula ha riferito: “Mi diceva che la donna era solo un contenitore. Non mi faceva uscire di casa, mi costringeva a lasciare il lavoro”. Due gli episodi di violenza sessuale accertati, uno dei quali culminato in un rapporto anale non consensuale, con l’imputato che avrebbe poi affermato: “Le donne che fanno sesso anale sono di serie B”. Dopo la separazione, le minacce continuarono: “Ti farò finire sotto i ponti”, le avrebbe detto. La donna ha denunciato solo nel 2018: “Mi vergognavo. Ma quando ho parlato, è finito tutto. Non volevo più essere la persona debole che ero”.
I riscontri e la decisione dei giudici
Il Tribunale ha ritenuto le sue dichiarazioni credibili e riscontrate da numerosi testimoni, tra cui sorelle, genitori e un’amica stretta. Gli accertamenti hanno escluso che il suo racconto fosse simulato. La difesa aveva parlato di “strumentalizzazione in sede di affidamento della figlia”, ma i giudici hanno ritenuto tali argomenti privi di fondamento. Oltre alla pena principale, a S.P. sono state inflitte l’interdizione perpetua da pubblici uffici tutelari, l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, l’esclusione dalla successione della vittima e il risarcimento dei danni in separata sede,
La dichiarazione dell’avvocato Calabrese
“Finalmente si chiude un incubo durato anni – ha dichiarato l’avvocato Gianpiero Calabrese, legale della parte civile –. La mia assistita ha avuto il coraggio di denunciare e affrontare tutto questo con dignità. Ora, anche se profondamente segnata, potrà provare a ricostruire la sua vita con un minimo di serenità”.
La vicenda è giunta al capolinea giudiziario dopo un processo complesso, durante il quale sono stati ascoltati numerosi testimoni e acquisite prove decisive. Le motivazioni saranno depositate nei termini previsti.