Ferdinando Caristena
Ferdinando Caristena

Il 18 maggio 1990 a Gioia Tauro venne freddato a soli 33 anni Ferdinando Caristena, stimato commerciante della città. L’accusa fatale? La sua presunta relazione sentimentale con un uomo e la successiva frequentazione con una donna legata alla ‘ndrangheta locale, un “triangolo” considerato un’onta insopportabile secondo i codici del clan Molè. L’omicidio fu eseguito da sicari incaricati proprio da elementi di quell’organizzazione, secondo quanto emerso nelle confessioni del pentito Annunziato Raso.

Il contesto sociale: pregiudizio radicato e omertà diffusa

La sua morte non fu solo un omicidio, ma un messaggio potente rivolto alla comunità: non c’era spazio per l’amore fuori dagli schemi imposti. Il clima di omertà e il timore sociale impedirono che emergessero verità alternative o persino dubbi. La vittima fu immediatamente isolata nella narrazione pubblica come colpevole non solo della sua condizione, ma anche di aver osato sfidare la moralità imposta dai clan locali.

Memoria negata, riscatto tardivo

Per quasi trent’anni, la vicenda rimase relegata all’interno delle vittime dimenticate della ‘ndrangheta. Solo nel 2017, grazie all’impegno del giornalista Klaus Davi e alla spinta della comunità, il Comune di Gioia Tauro ha deciso di intitolargli una via, rendendo visibile il suo nome e la sua storia. Una cerimonia non priva di tensioni: la famiglia fu inizialmente esclusa dal progetto e, solo dopo, coinvolta nella cerimonia.

Un simbolo civile oltre la vittima

Con il tempo, Caristena è diventato un simbolo civile: una vittima dell’amore e della libertà di scelta, punito dai codici criminali e sociali di una cultura che non ammette deviazioni. Osservatori e studiosi della ‘ndrangheta hanno descritto la sua fine come un atto esemplare di oppressione omofobica, attraverso cui il clan riaffermava il proprio potere e controllo sulla morale locale, oltre che sulle relazioni personali.