Marco Punturieri
Marco Punturieri

Nel settembre 2011, Marco Puntorieri, trentunenne ritenuto vicino alla cosca Libri della ’ndrangheta reggina, scomparve. Le indagini ricostruirono che l’uomo venne sequestrato e, secondo l’impostazione accusatoria, ucciso con colpi di pistola alla testa e il suo corpo fatto sparire, rendendo il delitto di tipo “lupara bianca” — un omicidio mafioso con azione pressoché occultata. Il movente, sempre secondo gli inquirenti, avrebbe attinenza a contrasti interni alla cosca stessa.

Le indagini, le piste e le accuse

Nei mesi successivi furono individuati due presunti esecutori materiali: Natale Cuzzola e Domenico Condemi, destinatari di ordinanza di custodia cautelare. Le investigazioni presero spunto da intercettazioni ambientali e da elementi raccolti dalla Procura distrettuale antimafia. Contestualmente, fu ipotizzato che il mandante dell’omicidio fosse un uomo, Edoardo Mangiola, con presunte responsabilità nell’ordine criminale interno. Le accuse sostenute includevano aggravanti legate all’agevolazione mafiosa.

In un passaggio del percorso giudiziario, nel maggio 2024, per il presunto mandante venne richiesta la condanna all’ergastolo, mentre i due esecutori già condannati in primo grado al carcere a vita. Tuttavia la vicenda non si concluse lì.

Assoluzione per il presunto mandante

Nel processo bis celebrato con rito abbreviato, il Gup del Tribunale di Reggio Calabria, nella decisione del 18 aprile 2025, ha assolto Edoardo Mangiola con formula piena «per non aver commesso il fatto». In sostanza, il giudice ha ritenuto insufficienti le prove per affermare la sua responsabilità nel delitto. La sentenza ha riaperto la ferita dolorosa dilatando il senso di impunità che troppo spesso accompagna i delitti mafiosi perfettamente occultati.

Il significato e le ferite irrisolte

L’omicidio di Marco Puntorieri è emblematico del fenomeno mafioso calabrese che si muove nell’ombra, nel silenzio e nella complicità del vuoto: l’assenza del corpo equivale a una doppia morte — quella fisica e quella della memoria. La assoluzione del presunto mandante lascia aperti molti interrogativi su responsabilità, dinamiche interne alla cosca, e sul perché certe verità non emergano mai completamente.

Per la Calabria è un caso simbolico: segnala la difficoltà del sistema giudiziario a chiudere il cerchio su certi delitti, l’importanza della memoria civile e dell’azione delle istituzioni nel contrasto all’omertà. Fino a quando non verranno recuperati tutti gli elementi — testimonianze, prove indiziarie, riscontri — resta il monito che la giustizia non può accontentarsi dell’assenza del cadavere, ma deve cercare la verità anche quando essa sembra irreperibile.