Gusto Ribelle, Ricettari: rigidità o libertà di interpretazione
Ma una domanda resta centrale: le ricette vanno seguite alla lettera o possono essere modificate? E, se modificate, possono ancora mantenere lo stesso nome?

I ricettari rappresentano una delle più preziose testimonianze della cultura gastronomica di un popolo. Da semplici elenchi di ingredienti a veri e propri trattati di arte culinaria, hanno attraversato i secoli evolvendosi e adattandosi ai cambiamenti della società e della disponibilità delle materie prime. Ma una domanda resta centrale: le ricette vanno seguite alla lettera o possono essere modificate? E, se modificate, possono ancora mantenere lo stesso nome?
Il "De re coquinaria"
Il primo ricettario conosciuto risale all'epoca romana: il "De re coquinaria" attribuito ad Apicio, che raccoglie ricette della cucina imperiale, molte delle quali complesse e ricche di spezie, a dimostrazione di quanto la gastronomia fosse già considerata un'arte. Dopo la caduta dell'Impero Romano, per secoli la trasmissione delle ricette avvenne principalmente in ambito monastico e domestico, fino all'arrivo del Rinascimento, periodo in cui l'arte culinaria riprese prestigio e fu codificata nei primi ricettari moderni. Uno dei nomi più illustri della storia della gastronomia è quello di Mastro Martino da Como, cuoco del XV secolo e autore del "Libro de Arte Coquinaria", che segna una svolta nella letteratura culinaria, abbandonando le forti spezie medievali a favore di una cucina più equilibrata e raffinata. Il suo lavoro influenzò profondamente Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V, che nel 1570 pubblicò "Opera dell'arte del cucinare", un vero e proprio trattato enciclopedico della cucina rinascimentale. Con l'arrivo dell'età moderna, la cucina si democratizza e i ricettari diventano strumenti alla portata di un pubblico sempre più vasto. Il XIX secolo vede la pubblicazione de "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" di Pellegrino Artusi, il primo vero ricettario italiano che unifica la tradizione gastronomica del Paese in una sola opera. Artusi stesso promuove l'idea che le ricette possano essere adattate in base agli ingredienti disponibili e ai gusti personali.
I “ricettari delle nonne”
Nel corso del XX secolo, con la nascita dei “ricettari delle nonne”, la trasmissione delle ricette assume un carattere più intimo e familiare, segnando il passaggio dalla cucina d'élite alla cucina quotidiana. Ogni famiglia ha il proprio libro di cucina, spesso arricchito da varianti locali e personali, a dimostrazione di come le ricette siano vive e in continua trasformazione.
Ma fino a che punto una ricetta può essere modificata mantenendo lo stesso nome? Se pensiamo alla carbonara, pietra miliare della cucina italiana, le sue varianti con panna o senza guanciale generano dibattiti infiniti tra puristi e innovatori. Lo stesso accade con la pizza napoletana, il ragù alla bolognese o il tiramisù, che nel tempo hanno subito trasformazioni pur rimanendo fedeli a una loro essenza.
I limiti di alcune ricette
La questione è dunque aperta: le ricette possono essere modificate, ma ogni cambiamento comporta delle conseguenze. Quando una modifica è marginale, il nome può rimanere invariato, ma se si altera troppo la struttura della ricetta, il risultato è qualcosa di nuovo. In alcuni casi, le denominazioni protette (DOP, IGP, STG) pongono dei limiti precisi alla riproduzione di certe ricette, garantendo il rispetto della tradizione e dell'identità territoriale. I ricettari ci insegnano che la cucina è un'arte in continua evoluzione, ma anche un patrimonio da preservare. Seguirli alla lettera o usarli come ispirazione dipende dal contesto: la rigidità è necessaria per la conservazione delle tradizioni, ma la sperimentazione è il motore dell'innovazione culinaria. Come disse Artusi, "la cucina è una bricconcella", e forse è proprio questa sua natura mutevole che la rende immortale.