Confiscati 45 milioni all’imprenditore calabrese Nicola Femia: confermati i legami con la ’ndrina Mazzaferro
Sentenza definitiva della Cassazione: sigilli a immobili tra Ravenna e Cosenza, terreni, società e auto. Patrimonio giudicato frutto di attività mafiose e riciclaggio

La Guardia di Finanza di Bologna ha eseguito una confisca definitiva di beni per un valore complessivo di circa 45 milioni di euro nei confronti dell’imprenditore calabrese Nicola Femia, sessantaquattrenne ritenuto vicino alla ’ndrina Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica, nel Reggino. Il provvedimento patrimoniale segue una lunga battaglia giudiziaria culminata con la sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Bologna.
La figura di Femia e l’operazione “Black Monkey”
Il nome di Nicola Femia emerse a livello nazionale nel 2013 durante l’operazione antimafia “Black Monkey”, che smantellò un vasto sistema di slot machine illegali e scommesse clandestine gestito con metodi mafiosi tra Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia. Secondo l’accusa, Femia era il fulcro economico di un sistema criminale capace di generare introiti milionari attraverso la gestione di apparecchi da gioco scollegati dai controlli statali, utilizzati per riciclare e accumulare capitali illeciti. Già all’epoca, la Direzione Distrettuale Antimafia aveva evidenziato i suoi rapporti con ambienti legati alla ’ndrangheta.
Il patrimonio accumulato grazie ai capitali illeciti
La confisca ha riguardato numerosi beni immobili, terreni e quote societarie, tutti ritenuti dagli investigatori sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati dall’imprenditore. Tra i beni sequestrati figurano otto immobili situati tra le province di Ravenna e Cosenza, oltre ventotto terreni agricoli nel territorio ravennate per una superficie complessiva di oltre trentamila metri quadrati. Sono state inoltre confiscate sedici partecipazioni societarie attive soprattutto nelle province di Bologna e Ravenna, insieme a interi compendi aziendali e sei autoveicoli di valore. Secondo il giudice, questo patrimonio era il prodotto di un articolato sistema di intestazioni fittizie e prestanome ideato per nascondere la reale disponibilità dei beni.
Confermata l’aggravante mafiosa
La magistratura ha riconosciuto a Femia la responsabilità in reati contro il patrimonio, l’economia e la persona, con l’aggravante del metodo mafioso. La Corte ha evidenziato come le attività dell’imprenditore fossero agevolate dal clima di intimidazione e controllo tipico delle organizzazioni criminali calabresi. In particolare, sono stati accertati contatti e vicinanza operativa con esponenti della ’ndrina Mazzaferro, una delle più influenti famiglie mafiose della Locride, storicamente coinvolta in traffici internazionali e infiltrazioni economiche nel Nord Italia.
Calabria ed Emilia-Romagna unite da un filo mafioso
La presenza di beni sottratti alla disponibilità di Femia anche nella provincia di Cosenza dimostra come, nonostante l’espansione al Nord, la base operativa e i legami familiari delle cosche restino saldamente ancorati alla Calabria. L’inchiesta conferma ancora una volta la strategia della ’ndrangheta di investire e mimetizzarsi nell’economia legale, infiltrandosi in settori redditizi come il commercio, l’agroalimentare e il gioco d’azzardo. La confisca da 45 milioni rappresenta uno dei più significativi provvedimenti patrimoniali antimafia degli ultimi anni, un colpo che mira a privare la criminalità organizzata delle sue risorse economiche, strumento essenziale di potere e radicamento sul territorio.