Vincenzo Pesce: l'uomo della ’ndrangheta che dettò il capo-crimine
Capobastone del potente clan Pesce di Rosarno, modellò gli equilibri mafiosi in Calabria

Nato a Rosarno il 27 maggio 1959, Vincenzo Pesce, noto anche come "Cenzo", è figlio di Francesco Pesce, storico boss della ’ndrina. Dopo la scarcerazione nel 2008, ha assunto il comando del clan insieme ai fratelli, scavalcando l’opposizione interna e consolidando il suo potere all’interno dell’organizzazione criminale calabrese.
Influenza nazionale: il ruolo nel 2009
Pesce ebbe un ruolo cruciale nel conferire la carica di capo-crimine della ’ndrangheta a Domenico Oppedisano nell’agosto 2009. Partecipò all’accordo che bloccò l’aspirazione al titolo di Giuseppe Pelle, prevenendo una scissione che avrebbe potuto portare alla formazione di settori separati della rete mafiosa.
Attività criminali e operazioni di contrasto
Il clan Pesce, assieme ai Bellocco, è considerato uno dei più potenti d’Italia, con forti ramificazioni a Rosarno, nella piana di Gioia Tauro e a Milano. È attivo in traffico di droga, estorsioni e appalti pubblici, anche nel porto di Gioia Tauro. Nel 2010, l’operazione “All Inside” portò all’arresto di numerosi esponenti del clan, incluso Vincenzo, accusati di associazione mafiosa e traffico di droga. Nel 2011, la condanna a vent’anni segnò una svolta nella lotta contro il clan.
Un potere temuto, una rete vasta
All’apice del suo potere, Pesce vantava circa 500 affiliati operativi. Il suo controllo sul territorio e sulle attività criminali era capillare, tanto da essere paragonato a figure storiche della mafia siciliana.