Gioacchino Murat
Gioacchino Murat

Dopo la disfatta napoleonica e la caduta del suo regno, Gioacchino Murat progettò un disperato ritorno in Italia per riconquistare il trono di Napoli. Il tentativo culminò con un approdo improvviso nel territorio calabrese. Un imprevisto di tempesta lo spinse a sbarcare a Pizzo, dove fu immediatamente catturato. Il tradimento nella sua scialuppa lo consegnò nelle mani delle autorità borboniche.

Il processo nell’antica fortezza

Murat fu rinchiuso nelle prigioni del castello di Pizzo, antica fortezza aragonese affacciata sul mare, da quel momento simbolo del suo tramonto. Qui si svolse un sommario processo militare presieduto da una commissione militare. In meno di mezz’ora gli venne concessa l’ultima confessione religiosa e il tempo per una breve lettera alla moglie e ai figli.

L’estremo gesto di coraggio

Davanti al plotone d’esecuzione, Murat si presentò lucido, rifiutò il tradizionale bendaggio e rimase impettito fino all’ultimo istante. Solo sei colpi lo ferirono mortalmente, mentre lo spettro della sua figura eroica si stagliava nella memoria storica dei presenti. Pizzo, la cittadina calabrese che fu la sua tomba, restò intrisa della sua tragica presenza.

Un’eredità simbolica in Calabria

La figura di Murat, nato figlio di locandieri e divenuto re audace, ha lasciato una traccia indelebile nella memoria collettiva calabrese. Il castello di Pizzo custodisce ancora oggi le vicende del suo arresto, del processo e dell’esecuzione, attraverso ricostruzioni storiche che evocano i drammatici giorni conclusivi. La sua vicenda rimane uno degli ultimi atti della stagione napoleonica nel Mezzogiorno, con forti implicazioni anche nel contesto del futuro Risorgimento italiano.