L’omicidio di Domenico Zappia, vittima innocente della ’ndrangheta
Il 2 ottobre 1987 a Staiti muore un ragazzo di 18 anni, ucciso per errore durante un agguato mafioso
Domenico Zappia era un giovane studente di 18 anni, originario di Staiti, un piccolo borgo nella provincia di Reggio Calabria, che frequentava l’Istituto tecnico-commerciale per geometri a Bova Marina. Il 2 ottobre 1987, a bordo di una Fiat 127, aveva accettato un passaggio da un compaesano, senza sapere che quella scelta lo avrebbe condotto alla morte. Quel giorno era stato scioperato il trasporto ferroviario e Domenico, per tornare a casa, aveva chiesto un passaggio a un conoscente, che si è rivelato essere l’obiettivo dell’agguato.
L’agguato e la fine di un sogno
Nel corso dell’autostrada nei pressi della marina di Galati di Brancaleone, i due a bordo dell’auto furono bersaglio di numerosi colpi di lupara sparati da uno o più sicari in moto. Il conducente, l’uomo che aveva offerto il passaggio, fu ucciso sul colpo, mentre Domenico, gravemente ferito, spirò cinque giorni dopo all’ospedale. Il ragazzo non era in alcun modo coinvolto in attività criminali: la sua morte è avvenuta per un tragico errore di identificazione in un contesto di faida mafiosa.
Anni di attesa e rinascita della memoria
Negli anni successivi alla sua morte, la vicenda di Domenico Zappia è rimasta nell’ombra, come quella di tante altre vittime innocenti della ’ndrangheta. La madre di Domenico ha però condotto una battaglia costante per il riconoscimento della verità e della dignità del figlio. Gli investigatori e la magistratura, con il tempo, hanno avviato accertamenti che hanno inserito il suo nome nell’elenco delle vittime innocenti della criminalità organizzata.
Un monito per il presente e per il futuro
La storia di Domenico Zappia rappresenta un monito per la Calabria, per l’Italia e per tutti coloro che vogliono contrastare la violenza mafiosa. Morto ad appena 18 anni, Domenico incarna la fragilità di chi viene colpito senza motivo se non per trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Il suo ricordo ci richiama alla responsabilità di costruire una comunità che riconosca e protegga i suoi membri più vulnerabili, rompendo il silenzio e l’omertà.