Morire incinta a 32 anni. Chi doveva ascoltare Martina Piserà?
La donna incinta al settimo mese, è morta insieme al suo bambino dopo ripetute richieste d’aiuto ignorate

Martina Piserà, 32 anni, al settimo mese di gravidanza, è morta insieme al suo bambino nella notte tra sabato e domenica scorsi all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia. Originaria di Filandari, era una donna conosciuta, amata, con un nome, una famiglia, una storia. Fino a pochi giorni fa, portava dentro di sé una nuova vita. Ora il suo volto è ovunque: sui social, sui giornali. Ma questa non è una semplice fatalità. È una storia di omissioni, di leggerezze, di domande che attendono risposte. E forse, di responsabilità.
Segnali ignorati, dolore minimizzato
Nei giorni precedenti alla tragedia, Martina si era recata più volte in ospedale. Lamentava dolori al petto, sintomi evidenti, ripetuti, allarmanti. Eppure, ogni volta veniva dimessa. Sempre. Le parole che si sentiva dire sono le stesse che troppe donne in gravidanza conoscono fin troppo bene: “È normale”. Ma non lo era. Era un campanello d’allarme. E nessuno ha avuto il coraggio — o la cura — di ascoltarlo davvero.
L’ultima frase, il silenzio del cuore
Sabato sera, Martina torna al pronto soccorso. Dice una frase agghiacciante: “Non sento più muoversi il bambino.” Gli esami confermano il peggio. Il feto è morto. Poco dopo, Martina stessa accusa un malore improvviso: arresto cardiaco. I tentativi di rianimazione falliscono. Muore anche lei. Una madre e un figlio, insieme. In un ospedale in cui cercavano protezione.
Un'inchiesta dopo la morte
La Procura della Repubblica di Catanzaro ha aperto un’indagine. È un atto dovuto. Ma è anche una ferita. Perché le inchieste arrivano sempre dopo. Dopo la morte. Dopo il dolore. Dopo che è troppo tardi per salvare. Eppure, la domanda resta: si poteva evitare?
Chi ha smesso di vedere?
Cosa sarebbe successo se Martina fosse stata trattenuta, se qualcuno avesse dato peso a quei sintomi, se un medico avesse scelto la prudenza? Non si tratta di caccia alle streghe. Si tratta di capire se, ancora una volta, chi doveva curare ha scelto di non vedere. Quando una donna incinta viene dimessa più volte con dolori al petto e poi muore, qualcuno deve rispondere.
La sanità non può permettersi il silenzio
La sanità non può essere indifferente. Non può voltarsi dall’altra parte. Oggi una famiglia piange una figlia e un nipotino mai nato. Una comunità si interroga. E un Paese dovrebbe fermarsi a riflettere. Perché Martina non è un caso isolato. È la conseguenza di un sistema che spesso non ascolta, non protegge, non cura.
L’eco di una voce che nessuno ha ascoltato
Sui social, centinaia di messaggi riempiono la pagina di Martina. Tra questi, uno colpisce più di tutti: “Avevi voglia di vivere, amore per la vita, e lottavi per mettere al mondo tuo figlio… e invece il destino crudele ti ha strappata via. Ma forse non è stato solo il destino. Forse qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa. Se solo ti avessero ascoltata davvero.”
Non era destino. Era evitabile.
Ecco il punto. Forse bastava poco: una visita in più, un ricovero, un medico meno arrogante. Martina non voleva nulla più di ciò che le spettava: vivere. Diventare madre. Essere presa sul serio. Ora non ha più nulla. E noi? Noi abbiamo solo un’altra inchiesta. Un’altra bara bianca. Un’altra vergogna.
Nel 2025, non è accettabile morire così
Se ancora oggi si può morire così, non è Martina ad aver fallito.
Siamo noi. Tutti noi.