Suino allo stato drado
Suino allo stato brado

In Calabria, il maiale è da sempre un animale simbolico, quasi sacro, almeno sulle tavole. Per secoli, la sua presenza ha rappresentato una tradizione radicata, soprattutto nel mese di gennaio, quando il famoso “rito del maiale” animava le famiglie calabresi. Un tempo, ogni casa dedicava tre giorni (o più, a seconda delle usanze locali) alla lavorazione del suino: un evento che era tanto una celebrazione quanto una necessità, con abbondanza di cibo e vino a scandire il ritmo del lavoro.

Dal rito familiare all’eccellenza agroalimentare

Negli ultimi anni, la tradizione si è trasformata. Se da una parte il “rito del maiale” si è ridotto per varie ragioni – cambiamenti di stile di vita, normative sanitarie più stringenti, o semplicemente l’evoluzione delle abitudini – dall’altra, il settore ha visto l’ascesa di aziende e allevatori che hanno investito nel miglioramento delle razze suine.

Un esempio di questo progresso è il recupero del maialino nero calabrese, o "Nero di Calabria", una razza autoctona che oggi è allevata allo stato brado. Questo suino rustico, simbolo di biodiversità, ha permesso alla regione di produrre eccellenze rinomate a livello internazionale: soppressata, salsiccia, pancetta, capocollo, prosciutto e molte altre specialità che portano i sapori calabresi in giro per il mondo.

Grazie alla dedizione degli allevatori e alla riscoperta di tecniche tradizionali, queste prelibatezze incarnano la perfetta unione tra innovazione e rispetto per le radici culturali.

Maiale calabrese o marketing?

Tuttavia, un dubbio sorge spontaneo: la Calabria alleva abbastanza suini per giustificare la quantità di salumi prodotti e venduti sotto l’etichetta "calabrese"? L’export di salumi tipici dalla Calabria è enorme, con numeri che fanno onore alla regione. Ma se la quantità di maiali allevati localmente non è altrettanto elevata, come è possibile sostenere una produzione così vasta?

Alcuni dati sembrano suggerire che una parte delle carni utilizzate per questi salumi potrebbe non essere calabrese al 100%. Questo solleva interrogativi sulla trasparenza della filiera e sull’autenticità di alcuni prodotti che, sebbene etichettati come "tradizionali", potrebbero non riflettere appieno il legame con il territorio.

La sfida del futuro

Per la Calabria, la sfida non è solo mantenere alta la qualità dei prodotti ma garantire anche una filiera corta e trasparente, capace di valorizzare al massimo gli allevamenti locali. Rafforzare l’allevamento autoctono e migliorare la tracciabilità potrebbero rappresentare un passo decisivo per consolidare l’identità e l’autenticità dei salumi calabresi.

In definitiva, il maiale continua a essere un simbolo della cultura calabrese, ma la domanda critica rimane: quanto di ciò che esportiamo come “calabrese” è davvero 100% calabrese? È una questione che richiede non solo riflessione, ma anche azioni concrete per proteggere il patrimonio agroalimentare della regione.