Stefano Bonfà, l'imprenditore agricolo ucciso nella Locride
Un atto che intreccia segreto dei sequestri, poteri occulti e silenzio tra le montagne calabresi
Il 3 ottobre 1991, nei pressi di Caraffa del Bianco, nel territorio della Locride, venne ucciso Stefano Bonfà, imprenditore agricolo di 62 anni originario di Samo. Il suo corpo fu rinvenuto in auto, nei pressi di un podere di sua proprietà, in una zona isolata e strategica per la viabilità e le attività illecite tipiche della zona. Il ritrovamento segnò un episodio drammatico all’interno di una catena di intimidazioni e delitti che colpirono l’Aspromonte e le vallate joniche negli anni dei sequestri di persona.
Il possibile movente e il contesto
Secondo gli elementi emersi dalle indagini e dalla successiva ricostruzione giornalistica e antimafia, Stefano Bonfà potrebbe essere stato ucciso per aver assistito al passaggio di un mezzo che trasportava una persona sequestrata. Il podere “strategico” in cui era situata la sua attività risultava infatti inserito in una rete di vie interne utilizzate, in quegli anni, per rapimenti e transitazione di vittime verso la criminalità organizzata. Il contesto è quello dell’alta densità di presenza della ’ndrangheta in quell’area della Calabria: traffici, sequestri, omertà e silenzi caratterizzavano una stagione di terrore.
Silenzi, insabbiamenti e responsabilità mancanti
A più di trent’anni dall’omicidio, la vicenda di Stefano Bonfà rimane avvolta nel mistero. Non sono stati accertati mandanti, né killer identificati in modo definitivo. Alcune voci investigative accusano la presenza di forze dell’ordine “deviante”, riferendo che dietro l’omicidio possa esserci stata una complicità o una tolleranza da parte di ambienti istituzionali. Le indagini ufficiali non hanno mai portato a conclusioni definitive, alimentando il sentimento che l’imprenditore sia stato sacrificato in un contesto bene protetto dalla complicità del silenzio.
Il significato per la Calabria e la memoria collettiva
La morte di Stefano Bonfà ha un valore simbolico forte: non era un personaggio in vista, non un politico né un alto funzionario, bensì un imprenditore agricolo che aveva radici nel territorio. Ucciso probabilmente perché “vedeva troppo”, la sua vicenda richiama come la criminalità organizzata possa colpire anche chi non riveste ruoli pubblici, ma si trova nel punto “sbagliato” al momento sbagliato. Per la Calabria, la storia di Bonfà è una ferita che parla di omertà, di affari occulti e di comunità che, pur colpite, reagiscono attraverso la memoria e l’impegno.